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giovedì 29 agosto 2013

Giovanni Garufi Bozza a "scritturati"

INCONTRO CON GIOVANNI GARUFI BOZZA
a cura di Vincenzo Monfregola

Un'intervista che rompe gli schemi, ospite del nostro salotto letterario Giovanni Garufi Bozza, affronteremo il tema della "psicologia": cos'è e come dovremmo vederla. 
Gli abbiamo chiesto di raccontarsi e raccontarci di "Selvaggia", il suo ultimo romanzo con Drawup Edizioni.


Ciao Giovanni, innanzitutto voglio dirti che è un piacere averti qui come nostro ospite, teniamo molto che i nostri autori presenzino con piacere nel nostro salotto letterario affinché riescano a raccontarsi quanto più liberamente possibile, iniziamo subito con le presentazioni, Giovanni Bozza nasce nel 1985 a Roma, com'è nascere e vivere nella capitale?
Ciao Vincenzo, il piacere è tutto mio e ti ringrazio molto per questa opportunità. Nascere e vivere nella capitale? Probabilmente è un continuo bombardamento caotico. È una città che offre molte opportunità ma spesso ti ingloba nel suo vortice di velocità, spesso ti ritrovi a correre per girare da una parte all’altra della capitale. Al contempo, ci sono momenti in cui scendi da questa giostra vorticosa e ti fermi nei millenni della sua storia, che sopravvivono immobili e maestosi mentre tutto intorno a loro gira veloce. A volte mi piace uscire di casa e improvvisarmi turista, per guardare con occhi nuovi la mia città e notare tutto l’antico e il moderno che quotidianamente mi sfugge.

Ti laurei in psicologia, scegli questa disciplina che immagino non renda alcun percorso scontato, ecco la mia curiosità si volge proprio su questo senso, studiare psicologia quanto riesce a distaccarti con il proprio "io" quello più intimo, quello personale?
Hai ragione sul fatto che non sia un percorso scontato: è una formazione lunga minimo dieci anni (se come me, si vuole diventare psicoterapeuti), come quella del medico, professione dove, però, ci sono molte più possibilità di lavoro e l’ultima parte della formazione, la specializzazione, è retribuita.
Studiare psicologia non credo ti aiuti a distaccarti dal proprio Io, ma anzi a entrarvi in contatto, a conoscerlo. In una seduta con un cliente ad esempio, se noti che la strada che stai battendo con lui non porta da nessuna parte, devi necessariamente modificarla: non puoi avere la pretesa di cambiare l’altro ma te stesso, senza però colludere, e per farlo è necessario, tra le altre cose, conoscersi nell’intimo.     

Oggi per quanto giochiamo all'emancipazione, in Italia ci sono ancora alcuni tabù, come quello di dichiarare apertamente la consulenza di uno psicologo. 
Che pensi delle persone che temono lo "psicologo" e soprattutto cosa consigli per abbattere questo muro?
Penso che esista una fobia diffusa, in buona parte creata dal senso comune, ma in altra buona parte creata dalla stessa psicologia. Quando si pensa alle scienze psicologiche il primo riferimento che viene in mente è Freud e l’idea di uno psicanalista pronto a scavarti nell’intimo, a violare quelle barriere personali che hai creato per difenderti. Oltre a ciò, la patologia mentale è ancora considerata uno stigma sociale, che isola dalla società (lo è stato realmente fino alla legge Basaglia), ed è più facile ammettere un dolore allo stomaco, che porta facilmente dal medico, che un attacco di panico. Occorre promuovere una visione nuova, dove si dimostri che ogni sintomo che ha a che fare con la mente, altro non è che un segnale di qualcosa. L’ansia, per citare il sintomo più diffuso, è sempre un messaggio, un segnale che vuole rivelarci una situazione che non va. Il problema non è l’ansia in sé e la terapia non può fermarsi alla cura del sintomo, occorre capire la situazione che c’è dietro, che il sintomo stesso ci sta denunciando. Occorre  In più occorre dimostrare che la psicologia non è “la medicina per i malati di mente”, non è isolata solo nel versante della cura, ma è una professione che si occupa di promuovere il benessere, tanto per i “sani” che per i “malati”, non è riferita solo al singolo individuo, ma anche ai contesti e alle organizzazioni. Uno psicologo in una scuola o in una azienda, non sta lì solo per chi presenta dei disturbi, ma per incrementare il benessere e la funzionalità di tutto il sistema e di tutti gli individui in esso coinvolti.
Altro schema da rompere, all’interno della professione, è l’immagine di uno psicologo che aspetta sulla sua poltrona il paziente. Perché ciò avvenga, è necessario che l’individuo si riconosca paziente (sofferente) e decida di andare dal professionista, e ti posso assicurare, per dirla con Balint, che una persona che incontra uno psicologo sulla sua strada racconterà vita, morte e miracoli di sé, ma se sarà costretto ad attraversare la stessa strada per parlare con lo psicologo, rinuncerà. Ecco dunque la necessità che sia il professionista ad avvicinarsi alla comunità, rendendosi presente nei contesti. Un giro di volta in tal senso potrebbe essere la creazione della figura dello psicologo di base, affiancato al medico e disponibile gratuitamente, perché pagato dal Servizio Sanitario Nazionale, a tutta la comunità. Così chiunque lo troverebbe disponibile nello studio del medico, facilitando tanto la cura della patologia che la promozione del benessere, perché tante patologie somatiche dipendono dalla mente e non ce ne rendiamo conto: un esempio su tutti, il colesterolo alto spesso dipende, oltre che dalla alimentazione errata, anche da una buona dose di stress sottovalutato dalle persone.      

La psicologia è?
La psicologia è senza dubbio la scienza che studia le relazioni. Spesso si pensa erroneamente che sia la scienza che studia la mente, ma è una definizione limitativa, perché la mente non è racchiusa tra le nostre orecchie ma è sempre in relazione con l’esterno e con altre menti.

Giovanni Bozza è anche scrittore, cosa ami della scrittura e cosa invece non riesce a catturare la tua attenzione.
Ti ringrazio per l’appellativo di scrittore, ma personalmente mi piace definirmi semplicemente autore, perché responsabile di aver creato un testo scritto. 
Gli scrittori a mio avviso sono coloro che riescono a essere ricordati in primis per ciò che hanno scritto, poi per il resto. Altrimenti metteremmo accanto a nomi come Calvino, Augias e altri un Garufi Bozza che ha ancora molta, molta, strada da fare. 
Della scrittura amo la possibilità che dona di mettersi in relazione con il lettore. Scrivere cos’altro è se non condividere un prodotto, che sembra finito e sempre uguale una volta terminato eppure che apre a infinite possibilità interpretative, a seconda di chi lo legge. 
Quello che non amo? Beh, forse il narcisismo e il senso di onnipotenza che crea in talune persone, palpabile nel vanto che fanno di aver scritto un qualcosa. Ecco, quello non cattura la mia attenzione, né per loro né per i loro scritti, giacché essi non si pongono in relazione con me lettore, ma impongono questa stessa relazione, atteggiamento alquanto differente. 

Ti scopri autore quando?
Scopro la passione per l’inventare storie scritte a otto anni, grazie a un vecchia macchina da scrivere trovata per caso nello studio di mio nonno. Da lì allo scrivere storie mai terminate sul pc, il passo è stato brevissimo, rinforzato dalla bellezza dello stare lì a inventare scene e contesti, da ridisegnare poi su carta. Mi scopro infine autore quando uno di questi scritti mai terminati si impone sugli altri, costringendomi in sei anni a terminarlo e poi prima ad auto-pubblicarlo e poi a pubblicarlo, anni dopo, con una casa editrice: Selvaggia, I Chiaroscuri di Personalità.


Progetto importante "Selvaggia" con Edizioni Drawup, quanto è importante questo romanzo nella tua crescita artistico letteraria e perché? Soprattutto da cosa nasce "Selvaggia"?
È senz’altro importante perché è il primo romanzo, che ha aperto enormi cambiamenti nella mia vita, portandomi a scoprire un mondo per me nuovo, quello dell’editoria e degli emergenti, che mi hanno insegnato molto. 
Devo tanto a Selvaggia, direi che mi ha pienamente ripagato il favore che le ho fatto di averla scritta. Nasce da una riflessione sulle maschere che quotidianamente portiamo per stare nel mondo e per sentirci in relazione con l’altro. Per più di un anno ho frequentato un noto locale dark di Roma. Mi stupivo come, tra tanti dark convinti, che non svestivano mai quei panni, probabilmente neanche indossando un pigiama per andare a dormire, ci fossero tante persone che vestivano stravaganti e trasgressivi nel weekend, per poi vestire panni normalissimi nella vita quotidiana. Mi colpiva molto questa duplice personalità, mi interrogavo su quanto li aiutasse a stare in relazione con l’altro.
Una sera, osservando nel suddetto locale una ragazza molto bella e trasgressiva, mi domandai come fosse nella vita quotidiana. Non ho mai avuto il piacere di conoscerla. Ignoro se sia di Roma o di chissà quale altra città. So solo che nel pensarci ho cucito una storia su di lei, che ha fatto nascere Selvaggia, I Chiaroscuri di Personalità.  


Stesso anno pubblichi "Crisalide" cosa e quanto ti lascia una pubblicazione di questo tipo?
Crisalide è un progetto letterario che coinvolge 14 autori, che si sono cimentati a costruire assieme e a distanza (proveniamo da diverse zone d’Italia) un’antologia che avesse come tema centrale la crisi. 
È stato il nostro tentativo di fronteggiare la crisi stessa, attraverso la cooperazione tra autori, che aiutasse tanto nella stesura che la promozione dell’opera, attraverso l’impegno comune. Da qui il titolo, che contiene a parola Crisi, ma richiama un bozzolo di farfalla, pronto a spiccare il volo. Perché la crisi può essere una grande opportunità, se siamo capaci di sfruttarne le potenzialità di crescita che offre.
Mi lascia un bell’insegnamento, che ha ispirato l’apertura del mio blog e dell’omonima trasmissione radiofonica che conduco: è solo attraverso la cooperazione e l’aiuto reciproco che si batte la crisi editoriale, economica e politica che stiamo vivendo. La crisi ci può insegnare tanto, non da ultimo il valore delle piccole cose e del mutuo aiuto, tematiche che il consumismo e l’individualismo imperante degli ultimi decenni ci avevano fatto dimenticare.


Impressioni sul mondo editoriale, oggi è facile fidarsi per un emergente?
No, affatto. Le trappole dell’editoria sono tante. Partiamo da un dato oggettivo: ci sono più autori che lettori, al giorno d’oggi e le case editrici non hanno puntato alla competizione e alla sana concorrenza, che per forza di cose deve basarsi sulla qualità del prodotto e sulla buona promozione. Hanno semplicemente visto negli autori una miniera per far soldi, campando sui loro sogni. Nella stragrande maggioranza dei casi si sono trasformate in semplici stamperie, che regalano a caro prezzo all’autore la possibilità di versi stampato, ma zero investimento sulla promozione e sulla qualità dell’opera (dal punto di vista grafico e di contenuto), che sono le carte vincenti per il successo di un testo.
 Parli di fiducia, e il messaggio che voglio lanciare è proprio questo: dif-fidare delle case editrici che fanno pagare la pubblicazione, spesso a costi esagerati, o che trovano modi subdoli per farvi tirar fuori dei soldi (es. l’acquisto di un numero tot di vostri libri), spacciandosi per case editrici free. Una casa editrice di questo tipo non crede in voi, ma nel vostro portafogli. La smania di vedere edita un’opera è tanta, e lo capisco, ma studiate attentamente i contratti, confrontatevi continuamente con altri colleghi autori. 
Se proprio dovete pagare, fatelo per un editing adeguato o per dei servizi che effettivamente portano a diffondere la propria opera. Solo così abbatteremo le stamperie salvando quelle realtà valide, che credono nei loro autori e dunque selezionano all’ingresso chi merita e chi non merita di essere edito, non sulla base del profitto, ma della qualità di un testo. 
Poi, ovviamente, vale la regola suprema dell’errore come maestro di vita: solo l’esperienza e lo sbattere la testa contro le trappole che l’editoria offre, aiuta l’autore a farsi le ossa e a promuoversi al meglio.



Gran parte dei tuoi lettori sanno bene che sei anche il conduttore della trasmissione radiofonica "Crisalide", da cosa nasce quest'idea?
Come ti ho detto prima, nasce dall’antologia Crisalide e dalla filosofia di mutuo aiuto che promuove. Ho scorto tante “offerte”, muovendomi nella rete, che promettevano di promuovere al meglio gli autori a prezzi “irrisori”: 10 euro per una recensione, 20 per un’intervista, 50 per un video ecc. 
Non critico chi fa pagare i servizi che offre, ma anche qui usate la testa: vale la pena di spendere 10 euro per una recensione, che proprio perché pagata e dunque comprata, non potrà che essere positiva e, con buona probabilità, finta? Vale la pena pagare 50 euro per un’intervista quando ce ne sono di gratuite? Vale la pena soprattutto pagarle per siti poco visitati? 
Io ho fatto valutare la mia trasmissione, Vincenzo, da due esperti di marketing. Mi hanno detto che potrei chiedere fino a cinquanta euro a intervista per tutto il lavoro che faccio per montarle, progettarle e registrarle, in modo che piacciano in primis all’autore, che lo raccontino al meglio e che non siano create a priori e uguali per tutti. Mi sono fatto un paio di conti: in un anno ho registrato più di quaranta interviste tra puntate regolari e speciali. Quaranta per cinquanta fa novecento: in un anno avrei avuto praticamente uno stipendio in più. Ma è morale campare sui sogni altrui? C’è chi direbbe di sì, io sono un appassionato di lettura e di scrittura, e condivido il sogno degli emergenti di farsi conoscere. Non potrei mai lucrare su questo. Dunque propongo uno scambio equo: la mia professionalità e le otto ore medie di lavoro per un’intervista in cambio di un aiuto promozionale. C’è chi accetta e l’aiuto reciproco dura nel tempo, aprendo possibilità bellissime, c’è chi accetta e scompare, c’è chi non accetta (una minoranza, segno che il progetto vale) per motivi di vario tipo… anche se spesso dalle parole che vedo in risposta vedo un grande narcisismo: io ho scritto il romanzo del secolo, non scendo a scambi, mi dovresti intervistare senza nulla chiedere in cambio. E lì, educatamente trattengo tanto i “vaffa”, tanto gli addominali per le risate che certi soggetti mi procurano ;)  

Bene Giovanni siamo giunti al termine della nostra intervista, di solito diamo l'opportunità al nostro ospite di salutare i lettori con un omaggio, tu come ci saluti?
Io vi saluto in primis ringraziandovi per l’intervista, e poi con un regalo a te e a chi ha avuto la pazienza di sopportarmi fino a qui. Io di solito faccio tanti regali solo al mio “circolo privato”, ovvero agli iscritti alla mia newsletter personale che coccolo (passatemi il termine smielato) condividendo con loro le chicche promozionali che mi vengono offerte per Selvaggia, I Chiaroscuri di Personalità e riempiendoli di regali. Data però la stima che ho per te ed essendomi piaciute le tue domande e il blog che tieni, regalo in esclusiva un mio racconto, che è da poco uscito nelle edicole. Lo troverete nella rivista antologica “Estate Rosa”, assieme a tanti altri racconti, non solo di genere rosa ma anche thriller (Estate Gialla) e horror (estate Nera). Voi potrete leggerlo, senza andare in edicola e  HYPERLINK "http://www.radiovortice.it/wp-content/uploads/2013/08/Lacrime_di_pioggia_Giovanni_Garufi_Bozza.pdf" cliccando qui: si intitola Lacrime di pioggia. :D

Recentemente è stato anche segnalato dalla giuria del Premio Letterario Nazionale di Basilicata e Calabria.
Se vorrete poi qualcosa da leggere sotto l’ombrellone, beh, andate in edicola e a un euro e ottanta troverete le tre riviste della collezione “Estate a colori”. C’è anche un racconto di Simone Turri, un bravo autore horror di Verona, che ho intervistato da poco a Crisalide.


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