MORGANA
di Gianni Totaro - Edizioni Tabula Fati
La silloge di Todaro scandaglia gli archetipi dell’immaginario poetico , l’amore e il tempo, sublimati attraverso la poesia , una poesia alta,che rivela la formazione classica con l’apporto della poesia del Novecento. La donna è il centro della Poesia, ne è la Musa ispiratrice e tutelare, colei che infonde coraggio al poeta che si scopre uomo ,nel senso pieno della parola, persona non maschera di menzogna e infingimenti,ma persona fragile che si sgretola al primo alito di vento, il sorriso della donna.
L’amore consumato a contatto con la Natura, madre benevola che tutto accoglie come il grembo di una donna, punto di luce e di forza. L’amore inevitabile ma pronto già alla resa del distacco.
Donna e Natura: questi i nuclei poetici della prima parte della silloge,che si fondono in un poetare sobrio, cantilenante, cullante, etereo, sommesso come il senso della mancanza che induce il Poeta a guardare oltre.
Un Poeta che nel barcollare lotta e ricerca il contatto con l’altro, in un colloquio mai interrotto con la Natura e la sua Donna, tratteggiata anche stilnovisticamente.
La donna è forza , l’uomo è debole, l’uomo si annulla nell’hic et nunc, la donna no, è depositaria del ricordo, che la rimmette nel circuito della natura, seguendo il ritmo delle stagioni, pronta ad abbracciare una nuova primavera. Insieme vivono nella Natura come tempio, una Natura alla Baudelaire i cui pilastri parlano una lingua strana che solo la donna sa decifrare, lei Vestale di un tempio, che l’uomo teme di oltraggiare e nel quale si reca in silente attesa, aspettando che la donna gli infonda la forza dell’immersione panica.
La seconda parte della silloge di concentra sul tempo che tutto travolge, ma si fonde in un unico fluire in vecchiaia, un tempo vissuto grecamente come attimo fuggente che tutto involve, ma anche classicamente attesa del nuovo che avanza. Il tempo , grande scultore, che libera l’adulto delle sovrastrutture concettuali e fa riemergere il fanciullino pascoliano che ingrandisce per poter ammirare e impicciolisce per poter analizzare. Per questo affermo che la silloge è un pregevole punto d’incontro tra classicità e modernità,classico è il lessico forbito, curato, ma rarefatto,senza nessun compiacimento narcisistico.
Un lessico e un contenuto alto che innalza il Poeta in una Nulla /Tutto dove può finalmente volare come l’aquila dei nativi d’America in una visuale aerea, dall’alto. Un poeta che nulla concede al compiacimento ma esprime una ricerca mai paga di libertà “libera”, pur nel permanere costante della sua innata fragilità di uomo che conosce i suoi limiti tutti umani.
Nella terza parte della silloge si affronta il tema eterno della Poesia, che invola il poeta in dimensioni fanciullesche, facendo emergere la parte più creativa e contemplativa, un poeta che si fa bimbo e segue il filo dell’aquilone:
"A volte a rapirmi l’attenzione/non è l’incanto manifesto delle cose.../osservo invece di un aquilone il filo,/la cui forza sottile estende al cielo/la mano vibrante di un bambino,/lo stelo incurvato che proietta/l’ipnotico canto della rosa,/l’ultimo sguardo alla camera d’albergo/a scandire l’inizio del ricordo.../sono attimi sgranati di un rosario,/briciole che allineo sopra al panno/a ricomporre dell’aquilone il filo."
Il filo dell’aquilone è la metafora montaliana di quello della memoria che sta al Poeta “ricomporre”.
Mentre il dopo temporale "Varchi fiammeggianti,/glicini venati di pioggia,/aromi,/vapori,/intrecci di gabbiani/a fendere l’azzurro/in meteore di luce ." si fa poesia alta che sa di natura rigenerata con il classico volo di gabbiani che si intrecciano a fendere l’azzurro , sotto lo sguardo del poeta che non si lascia più compenetrare dalle immagini fulgide della stolta apparenza , inseguendo l’essenziale.
Tutta la silloge racchiude ed esprime quelle che mi sembrano le doti di un poeta preparato che sa verseggiare in un continuum in cui le tre parti si inseguono senza frattura, ma fluiscono chiare e limpide come l’acqua che scorre da pura sorgente in uno stile ricco, curato, alto,che nasconde un apprendistato serio e un lavoro di cesello pregevole con il ricorso a figure retoriche classiche come l’assonanza e l’enjambement.
Il tutto senza nessuna pretesa di ostentazione, ma in totale pura e semplice ricerca della poesia come metafora e metonimia della vita stessa.
Giovanna Albi
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