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giovedì 12 settembre 2013

Simone Falorni recensito da "scritturati"

MESI OSCURI 
di Simone Falorni - Edizioni La Riflessione

Ho appena terminato di leggere “Mesi oscuri”, una raccolta di 12 racconti di Simone Falorni, scrittore nato ad Empoli nel 1980. L’opera, di cui l’autore mi ha fatto gentilmente omaggio, è edita da La Riflessione- Davide Zedda Editore, nella sezione Narrativa, una casa editrice sensibile ai problemi che affliggono la nostra società, come gli abusi sui minori, la solitudine degli anziani, la violenza sulle donne e l’omofobia. Temi trattati, per altro, nei 12 racconti di Falorni, ciascuno ambientato in un determinato mese dell’anno. Ne compaiono alcuni editi singolarmente tempo prima, come “L’alga del tè”, “Il crollo della fortezza”, “Dormi, piccolo Marco!”, “Che Dio è?” e “Panni stesi”. La prima edizione è del luglio 2010 e, in seguito, prendendo spunto proprio da queste tematiche, l’autore ha creato una raccolta ampliata di racconti definiti “gotici” dalla critica, che principalmente appartengono al genere noir. 
L’elemento fantastico si fonde col clima di attesa che aleggia in ciascun racconto, e pone in evidenza un’immaginazione prolifica di cui è dotato l’autore. Falorni ha iniziato a scrivere fin da piccolo, e dedica la sua opera sostanzialmente a persone care, “A tutti coloro che mi hanno aiutato a superare le paure dei miei primi 30 anni….”. Forse dobbiamo considerare questi scritti un modo da parte dell’autore per riuscire ad esorcizzare le paure della vita, ma penso sia più complicato di così. Alcuni di questi racconti presentano tinte forti, tipiche del genere horror, altri invece tematiche più introspettive espresse nella loro drammaticità. La raccolta si chiude con “Per sempre”, il racconto che affronta il problema dell’omofobia, di cui Barbara Pollastrini, l’ex Ministro per le Pari Opportunità ha scritto: “L’ho trovato forte e toccante, capace di comunicare con immediatezza a chiunque lo legga il dramma che lei descrive e che noi conosciamo, ma che una parte del Paese finge o si ostina ad ignorare”.
Ho amato il clima di inquietudine che Falorni riesce a creare nell’animo del lettore, soprattutto nei racconti più brevi. Il mio preferito è quello del mese di gennaio, nonché racconto di esordio. “Dormi, piccolo Marco!” mi ha evocato un po’ le situazioni di “Nascosto nel buio”, film di John Polsar del 2005 con Robert De Niro. L’incubo di un bambino si mescola al paranormale, mentre il male rimane in agguato, magari nascosto dentro ad un armadio, pronto a ghermirlo non appena le luci si spengono e lui rimane solo nella sua cameretta. Sia il maligno un’entità impalpabile oppure un essere umano.
Da lettrice appassionata di thriller e persona da sempre molto attenta ai particolari, riconosco a Falorni la qualità di essere un bravo “dipanatore di matasse”. Puntualmente, alla fine, tutti i tasselli del mosaico tornano al loro posto, e il lettore non rimane mai nel dubbio. E’ molto importante essere credibili quando si affrontano tematiche che esulano dalla realtà e “indagano” altri mondi possibili.
Pur se sviluppati con originalità e con uno stile personale, in alcuni racconti ho rivisto romanzi o film del passato. “Argo” mi ha ricordato “Cujo” di Stephen King, “L’arco delle streghe” una scena di “Screem”, il film horror del 1996 e “Che Dio è?” “L’Esorcista”, il film del 1973 che fece così tanto scalpore per i temi trattati e la crudezza delle immagini. Anche se qui l’argomento è differente, poiché l’anziano parroco si reca a trovare un’ammalata terminale di cancro, e non una ragazzina posseduta dal diavolo. In particolare, trovo questo racconto ben scritto, poiché Falorni ci proietta direttamente nella stanza insieme col prete e alla donna malata, ci fa “respirare” quell’atmosfera claustrofobica che non lascia spazio alla vita, quell’”odore” ineluttabile di morte.
Opera positiva, quindi, che mi sentirei di consigliare a tutti gli amanti del genere noir. Il linguaggio definito “gotico”, creato dall’autore al fine di dare quel “qualcosa di più” ai racconti, è sinceramente la parte di cui avrei fatto a meno. A volte l’aggiunta di alcuni termini rendono ridondante un concetto che era già stato spiegato in maniera esaustiva, ed imperfetta la lingua. Ma poiché, come abbiamo detto, quest’opera di Falorni si trova a metà fra il genere horror e il romanzo di denuncia sociale, gli perdoniamo la scelta insolita di alcuni aggettivi. Gli riconosciamo un pizzico di “grottesco”, se mi permettete. In un racconto horror, dove ci si aspetterebbe la scelta di aggettivi forti, passino pure allora le guance “paffute” del suo spettro. Così il lettore, ogni tanto, può permettersi di abbozzare un sorriso e alleviare la tensione. Un istante di concretezza prima di tuffarsi nuovamente nell’atmosfera “congelata” tipica dei racconti horror, che solo alla fine portano a concedere respiro.

Cristina Biolcati


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