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lunedì 21 luglio 2014

CAT ScritturaSpontanea, una nuova promessa che nasce a IL MANIFESTO - l'intervista a cura di Vincenzo Monfregola

INCONTRO CON ROSSANA ORSI - CAT ScritturaSpontanea
a cura di Vincenzo Monfregola

Scritturati oggi invita una giovane autrice, Cat ScritturaSpontanea è il suo pseudonimo, personalmente trovo che il suo parolare sia in abito scuro, elegante e notturno che svela_velando il senso del vento che soffia nella vita.

E' così che si descrive ROSSANA ORSI
"Quindici righe. Tutto sommato potrebbero bastare. 
Data e luogo di nascita: 
ventidue febbraio millenovecentosettantanove, a Torino.
Quattro anni fa ho scoperto un modo di esprimermi che avevo sempre preso poco in considerazione. Troppo timida, riservata, impulsiva. 
Al massimo mi concedevo alla musica o al disegno.
Quando sono approdata su Facebook creando una pagina di scrittura, mi sono sentita in dovere di concedermi dell'attenzione verbale; smettere di spiare le mie reazioni coi soli pensieri e, al contrario, dar loro una voce. Che rimanesse pittura. Sempre fresca. 

Ho scelto di firmarmi con un diminutivo che niente ha a che vedere col mio nome. Cat è legata alla Caterina cantata da De Gregori e al mio amore per i gatti. ScritturaSpontanea non è altro che un luogo, per me. Il luogo dove è permesso lasciare che il tempo, e le persone, e i dolori, e le gioie, vivano i loro spazi. Senza forzature. Senza abbandoni. Senza regole. 

Misuro gli avvenimenti in ampiezze e formulo racconti rimasti taciuti in parola per troppi anni, fin dall'adolescenza. Medico la chiusura con la curiosità e progetto inizi di storie che mischino favole, ricordi e desideri. 
La spontaneità, quindi, credo sia il mio tratto distintivo. Per interagire soprattutto con me stessa. In un ritratto che non ho mai avuto il coraggio di farmi fare."


Ciao Cat benvenuta a scritturati, abbiamo appena letto in che modo ti scopri autrice. Ricordi il tuo primo scritto, il tuo reale esordio quello intimo e del tutto personale? 
Me lo ricordo proprio bene, perché coincide con l'apertura della mia pagina su Facebook, ScritturaSpontanea. Ho partecipato ad un 'concorso' come spesso se ne trovano sui social - più per mettersi in gioco e interagire fra scrittore e lettore che per vincere un premio - spinta dall'entusiasmo e dalla curiosità. All'epoca ero molto tesa e insicura, soprattutto nei meccanismi virtuali. Il tema mi affascinava, si doveva scrivere un testo basandosi sulle poesie di John Keats. Penso che il mio scrivere oggi sia molto differente da quell'approccio, ma sento ancora lo stesso trasporto. È proprio il trasporto che mi colpì di più, l'esplorazione e l'esplosione delle parole, partendo da un incipit breve e aperto. Mi stupii di me.

Ti dò tre sfere di colore differente: verde, nero e avion, assegna ad ognuna di esse un aggettivo che ti racconta.
Premessa: adoro i colori. Quasi tutti. Nelle forme marcate e negli accenni. 
Al verde assocerei l'aggettivo naturale. Da Natura, Madre. Per l'importanza del nutrimento. E dell'istinto. Ho immagini vivide, un richiamo fortissimo alla campagna, e ai fiumi, e al mare, e ai laghi, e al cielo, e alla neve; ma anche alle foglie, ai fiori, ai frutti, agli alberi, agli animali. Se potessi scegliere addirittura la sfumatura di verde, direi verde acqua, sicuramente. Mi appartiene. Acqua come rigenerazione e primo sostentamento per la vita. Naturale, quindi, per me è sia l'attrazione agli elementi fondanti, primordiali, e sia una dote che tende alla fluidità e alla bellezza d'insieme. Quello che ci spinge a. La naturalezza è per me il primo passo verso la percezione degli stimoli esterni ed interni, ma anche il modo in cui li si affrontano, li si captano, li si riceveno. Ed è anche l'unico modo che conosco per restituire a ciò che mi circonda quello che di più vero posseggo.

Al nero assocerei l'aggettivo lunatica. Luna che condiziona la Terra, che esercita influssi e poteri. Ho imparato dalla luna che le conseguenze e l'adattamento non hanno solo accezioni negative, ma che con la costanza e la dedizione e lo studio e la sopravvivenza, per fa sì che coesistano cose nettamente diverse fra loro, è imperativo conoscere le esigenze di tutti e saperle concatenare. La mia lunaticità è scomoda, sconveniente, intransigente, ma anche tenera, inoffensiva, ciclica, salutare. È un modo di allertarmi e di allertare. Forse potrebbe assomigliare ad una stagione, ad un cambiamento di pelle, o di faccia. O ad un'emergenza. È uno 'stato d'animo' che interviene a capovolgere le carte in tavola proprio nell'attimo prima che si possa definire. Credo che abbia anche a che vedere con la mia impazienza nelle dinamiche statiche. Che sa d'irrequietezza verso la cronicità.

Avion. Sono sincera, non conoscevo questa tonalità di azzurro. Un azzurro che se ne va' verso il grigio, forse è un azzurro un po' stanco di essere associato alla nitidezza, al volo, alla leggerezza, all'infinito. Forse gli viene voglia di esaurire le energie, e di riposarsi. Forse anche per ripartire. Allora mi viene in mente la malinconia. Perciò direi malinconica, come aggettivo che mi racconta. Malinconica nel bel mezzo della mia nitidezza, dei miei voli, della mia leggerezza, del mio infinito. In quel mezzo c'è proprio quella piega di grigio - come l'avion - che smette di accendersi e che si spegne piano piano. Magari parte con una punta di sentimentalismo, aggiunge un pizzico d'empatia, una goccia d'orgoglio, due dita di rivincita e un filo di debolezza. Finisce che si mischia tutto, e la riga nemmeno si vede più. Si amalgama. È la mia pozione preferita. Mi serve per i tumulti, per gli sbotti, per ripulirmi dal superfluo. E secondo me la malinconia non è il contrario della felicità, non sta in antitesi alla capacità di gioire. Anzi. La malinconia non toglie, aggiunge. Del grigio all'azzurro.

Qual'è il ritratto di cui ci hai accennato che non hai mai avuto il coraggio di farti fare?
È un ritratto che è esistito sul serio, un mancato ritratto in verità, ma è anche una metafora. Mia madre voleva tanto farmi fare un ritratto, da bambina, sul lungomare della Liguria. È uno di quegli aneddoti che mi sono rimasti impressi, di me, ripetuti in diverse occasioni e che io tendo a ricordare spesso. Mancato perché gli sono scappata da davanti, lamentandomi forse, facendo i capricci e nascondendomi. So bene quell'agitazione, quel malessere, quel disagio. Io non volevo che mi si guardasse fissa e a lungo. Allo stesso tempo, tutte le volte che ci ripenso, mi dispiaccio per il ritrattista, soprattutto da quando ho cominciato io stessa a disegnare. In me vive la contraddizione dell'allontanamento per l'imbarazzo e della ricerca d'intimità.

So che c'è in pentola un buon progetto editoriale che ti vedrà protagonista prossimamente, vuoi accennarci qualcosa?
Sì. Il libro sarà in prossima uscita, credo a partire dal mese di settembre. S'intitolerà Risonanze Oniriche e sarà una raccolta di gran parte dei miei scritti degli ultimi tre anni. Saranno per lo più passaggi in prosa, intervallati da qualche accenno in poesia. Risonanze Oniriche per due motivi. Il primo è un rimando alle iniziali del mio nome e cognome, un omaggio in un certo senso alle mie origini che spesso metto in secondo piano. Il secondo motivo è legato strettamente a due parole chiave che secondo me rendono efficace il mio modo di scrivere e che richiamano alla musica e ai sogni. Temi, questi due, che tornano direttamente o indirettamente in quasi ogni cosa che scrivo.

Come approdi alla David and Matthaus Edizioni?
Approdo grazie al Manifesto di Pablo T. Sono stata contattata da Pablo e Romina tra ottobre e novembre dell'anno scorso, ma loro penso che mi stessero 'spiando' tramite la mia pagina Facebook da un po'. L'invito ad entrare nel gruppo del Manifesto è stato per me un'improvvisata, la classica cosa inaspettata, e per di più in un periodo nel quale tutto mi sarei aspettata tranne che un'opportunità del genere. Mi ci è voluto davvero poco, ma pochissimo, lo sottolineo, per ambientarmi e per riconoscere i valori condivisi. Quello è stato il momento giusto di cui parlo spesso, l'attimo di tentennamento prima della decisione. Siccome non sono una che crede alle coincidenze, dopo poco ho capito la giustezza di quel contatto. Dopo di che è stato uno scambio e un arricchirsi continuo, tra alti e bassi, in linea con la vita di ciascuno dei membri del gruppo. La valutazione dei mie scritti è stata successiva ai primi eventi di sponsorizzazione del libro di Pablo (Lo scopatore di anime) che fa da apripista a tutti noi. È stato un processo lento, un riconoscimento, una grande gioia. Un'enorme soddisfazione.



Dovessi associare un verso, un solo verso per rappresentare la tua silloge, cosa scriveresti?
Scriverei una cosa che ho già scritto, una cosa suggerita da una mia grande amica:
Risonanze Oniriche
la magia dei granelli di polvere
la concentricità dei petali di rose.

Cosa i lettori debbono aspettarsi avvicinandosi alla lettura dei tuoi scritti?
Credo si debbano aspettare intanto discontinuità, di forma e di argomento. Che parrebbe una mancanza, ma è solo un mettere in chiaro il mio modo di alternare le storie e le emozioni. Poi direi anche che dovrebbero aspettarsi tanta introspezione e l'enfatizzazione di ciò che ne viene fuori. Si trae sempre qualcosa dalla ricerca, dallo scavare, ed è forse questo quello che amo di più della mia scrittura. Il fatto che mi porti, comunque, da qualche parte. All'estremo, nel bene e nel male. Ad una novità intesa non come qualcosa di mai visto, piuttosto come qualcosa che suscita meraviglia. Un viaggio comune ma schietto, zeppo di metafore e forse criptico, di cui non si conosce la destinazione. Quindi ritorna il tema del moto, del percorso, dello spostamento, dell'azione. Anche se le parole pare stiano lì, belle ferme, cristallizzate in un libro. Mi piacerebbe che ci si aspettasse anche distensione, nell'andare, piccole tappe di respiro in una quotidianità che spesso sta stretta, e ingolfa, ma che si può allargare. Ecco, anche la speranza e la possibilità di trovare spazio per comprendere tutte le sensazioni che viviamo. Senza passargli sopra, per la troppa fretta o per l'insoddisfazione. Un occhio di riguardo alle cose piccole che scappano via.


"Personalemente ho già letto quanto scrive Cat sulla pagina ufficiale ScritturaSpontanea, tra l'altro ho ammirato anche i suoi dipinti sul sito Pittura & Scrittura Spontanea, è apparentemente semplice il parolare di questa giovane autrice, ma solo per chi si sofferma al primo approccio della lettura, personalmente trovo i suoi scritti vestiti di armonico fascino, per niente scontati né tantomeno predisposti di concedersi ai lettori di "Harmony Romance". 
Armonicamente sofisticata e di un'intensità emozionale impegnativa. 
Mi aspetto molto dalla sua 'Prima' e non mancherà modo di recensirla personalmente, è quindi il mio un arrivederci Rossana Orsi." 



Termina qui il nostro incontro letterario e come solito "Scritturati" chiede all'autore ospite sempre un omaggio a quanti hanno letto l'intervista, tu cosa ci lasci?
Vorrei lasciarvi questo brano. Uno tra i tanti a cui tengo:

Singhiozzavo col capo.
Avrei voluto amarti con l'unico scopo che ha la luce, di apparire scintillante tra un temporale e l'altro.
Brevemente. 
Tra braccia di betulle e gambe d'olmi, quasi che dovessi restare immobile davanti ad un fessura, per poterla ammirare, entrarti come benessere. 
Non posso dirti per quanto, non posso nemmeno chiamarlo tempo, una frazione divisiva nel complesso delle stagioni - io, poi, le amo tutte - che è già passato sotto il buio di una nube, la luce, infilata nella saliva, sparita nel respiro di una folata. Via.
Un altro singhiozzo del capo.
Ho voluto amarti con lo spavento dell'ignoto, come tocco terra e carta con le dita delle mani, e con quelle dei piedi soprassiedo sul dispiacere delle volte che pizzicano, urticano, quei francesismi che mi scompaiono dalla vista perché dirompono nella materia. La vedi, è lì, reale. Nego i preconcetti e i pregiudizi, qualsiasi cosa proibisca lo sbirciare della curiosità a saltelli minuscoli. Chiamo la pazzia per suono - e non per nome - per tastare a tentoni nel niente, goffamente e magistralmente abile, quel tutto che mi divincola nella morsa più stretta o che mi fa resistere, prigioniera della claustrofobia. Mia, mia, mia.
Ancora un singhiozzo.
Ti volevo amare con l'impazienza delle mie frette, con le temperature siderali dei miei baci scivolati all'indietro, con l'impermeabilità di certi tessuti, e la morbidezza al contrario come reazione. I rimedi, le cause. Le collisioni, le giravolte. Col mio bagaglio d'ire e di dolcezze armoniche da maneggiare con cura, le stesse tue caratteristiche in personalità longeve, e le fragilità scolpite nella corazza della fanciullezza, aggrappate ai mignoli.
Un altro singhiozzo.
Ti voglio amare in distacco, coi respiri lunghi, coi ritrovi scommessi sugli addii impavidi, a rischio di ritorsione, sui costi in anticipo e sugli addebiti dell'incomprensione. Finire per farti posto lo stesso, dicendo l'opposto, tramutando in discutibile tutto quello che potrebbe sembrare scontato. L'accenno dei primi momenti, lo sbalzo e i sobbalzi del 'poi, ti dico poi' senza dire che non sapevo come dirti.
Mancano le parole.
Singhiozzo col collo tenue.
Inarco i cori dei miei ventotto anni e sospiro la data delle nostre prime volte. Sanno di gelsomino.
Non ho nulla da inventare, io. Nulla che non sia stato già detto.
Eppure mi attardo, davanti a quello spiraglio, per dilatarlo.
Scrittura.
È sempre il 'come' che ci rende speciali.
Se. Sì.
Singhiozzavo, perché mi scuotevi.
Tra braccia di betulle e gambe d'olmi.
© Cat



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