«Mamma, papà, svegliatevi! Ho
paura!»
Jim Andrews aprì un occhio e lo
volse all’orologio digitale sul comodino della moglie.
Le 3:35, e brava Ellie…
«Ellie, torna a dormire, avrai
sognato…»
«Che succede? Ellie, stai bene?»
Alice, moglie di Jim e madre di
Ellie, emerse dalle profondità del piumone. Accese la luce e si ritrovò a
fissare la figlia, tutta tremante nella camicia da notte di Hello Kitty, col
suo topo di peluche stretto al petto.
«Amore, cosa c’è?»
«Ho sentito un rumore forte, da
sotto, e poi il suono di qualcuno che piangeva. Voi non avete sentito?»
«No, piccola, devi aver sognato.
Vuoi venire qua con noi?»
«Non ho sognato, sono sicura! Ero
già sveglia, anche fuori ci sono dei rumori strani! Papà, ti prego, non puoi
andare a vedere?»
Jim sospirò e si arrese.
Conosceva troppo bene la figlia per illudersi di riuscire a calmarla – e a
riprendere sonno – se non si fosse piegato al suo volere.
«Ok, Ellie, ok, vado. Tu infilati
sotto le coperte con mamma, se no prendi freddo.»
La bambina obbedì e Jim mosse i
primi passi attraverso la stanza; il suono di qualcosa che andava in frantumi
al piano inferiore lo gelò sul posto e strappò uno strillo alla moglie e alla
figlia.
«Visto che non stavo sognando?
C’è qualcuno di sotto, lo sapevo!»
«Alice, chiama la Polizia e
chiudetevi dentro. Io vado a vedere.»
«NON T’AZZARDARE A LASCIARCI QUA
DA SOLE!» strillò Alice tenendo stretta la bambina.
«Sst, zitta, vuoi che si
accorgano che li abbiamo sentiti?»
«Meglio, magari se ne vanno. Il
telefono, Jim, prendi quel telefono!»
«Prendilo tu, io scendo.»
Le donne non capivano, c’erano
cose che un uomo deve fare per il solo fatto di essere un uomo.
Si fermò in cima alla rampa di
scale e si mise all’ascolto, con tutti i nervi tesi. Un nuovo schianto da sotto
lo fece trasalire. Ellie e Alice strillarono di nuovo, poi Jim sentì la moglie
digitare con frenesia un numero telefonico.
«Pronto?! Pronto?! Cazzo,
rispondete! Oh mio Dio, Jim, non c’è la linea…»
Ellie si mise a piangere.
Jim s’impose di controllare la respirazione
troppo affannosa e quasi urlò quando la mano gelida della moglie lo afferrò per
l’avambraccio.
«Che diavolo fate qui tutte e
due, Cristo Santo? Tornate immediatamente di sopra!» sibilò, ma sapeva che
niente avrebbe potuto farle cambiare idea.
«Non possiamo stare lì da sole,
ti prego…» disse Alice.
Chiunque fosse l’intruso, era
impossibile che non li avesse ancora sentiti. Che intenzioni aveva? Perché
l’allarme non aveva suonato?
«L’allarme non vi sarebbe servito
a niente, e nemmeno il telefono. Avrebbe solo messo a rischio altre persone
oltre a voi, credetemi.»
La voce proveniva dal fondo della
scala, dal soggiorno, e fece accapponare la pelle ai tre Andrews stretti l’uno
all’altro sul terzultimo gradino. Il tono era stato cortese, la frase pronunciata
a un volume appena percettibile, con un accento difficile da collocare, eppure
mai come in quel momento Jim Andrews avrebbe voluto voltarsi e scappare.
«Prego, accomodatevi… vi chiedo
solo di non accendere la luce, per il momento, e di non tentare gesti eroici.
Ellie, non aver paura, vai a sederti sul divano con mamma e papà.»
«Come sai il mio nome, signore?»
«Quelli come me sanno tante cose,
cara. So anche che il tuo papà sta pensando di fare una cosa molto stupida… Mi
creda, signor Andrews, è molto meglio che si sieda sul divano con sua moglie e
sua figlia.»
Jim, Ellie e Alice si sedettero
cautamente, continuando a tenersi stretti l’uno all’altro come criceti nella
tana.
Ad un tratto, un agghiacciante lamento sgorgò
dalla gola del loro ospite, e gli Andrews balzarono in piedi come un tutt’uno.
Ne intravedevano la sagoma sul secondo divano della stanza, e lo videro
accasciarsi, ripiegato su sé stesso, mentre all’esterno, oltre la porta
finestra che dava sul giardino, un’intera cacofonia di latrati, ululati, risate
sguaiate, esplose come a un segnale, facendo urlare di terrore i tre
malcapitati.
«Cosa c’è là fuori?!» gridò Jim.
«MI RISPONDA!»
Jim si lanciò sul misterioso
visitatore e tentò di abbrancarlo per i vestiti, ma fu respinto da una forza straordinaria
e si ritrovò a volare attraverso la stanza.
«Jim! Jim!»
«Papà! Lascialo stare, brutto,
non far male al mio papà!»
«Non… mi toccare… non provare mai
più a toccarmi, ti avverto… e voi due, sedute!»
Quest’ultimo comando fu impartito
a un volume tale da far strillare madre e figlia all’unisono, ma ottenne
l’effetto voluto: le due si risedettero di schianto sul divano, come fulminate.
«Loro, là fuori, non sono qui per
voi… sono qui per me. È me che vogliono…
io… non sapevo dove altro andare… ho solo… ho solo bisogno di riposare un po’…
solo… riposare…»
L’ultima parola fu pronunciata
quasi in un sussurro, poi la figura tacque e rimase immobile, con la testa
reclinata contro lo schienale del divano. Jim si alzò lentamente da terra e
tornò a sedersi accanto alle sue donne, che lo abbracciarono piangendo
sommessamente.
«Signore, lei è ferito, mi sembra
di capire. Mia moglie è un’infermiera, perché non ci permette di accendere la
luce e di aiutarla? La prego…»
«Mettiamola così: finché sto qui
sono salvo, quelli là fuori non farebbero mai niente per mettervi in pericolo,
per loro le famiglie sono sacre; per me no… io sono egoista e m’importa solo di
me stesso, quindi avete un problema… un grosso problema… ho sete…»
«Le posso portare dell’acqua, se
mi lascia andare in cucina.»
L’ospite scoppiò a ridere
fragorosamente, ma ben presto la risata si trasformò in un accesso di tosse
affannosa e lo costrinse a piegarsi di nuovo su sé stesso, rantolando e
gemendo.
«Non posso stare qui a far niente
con uno che soffoca sul mio divano, mi scusi!»
Così parlò Alice Andrews, la
guerriera, e accese la luce prima che l’uomo potesse fare qualcosa per
impedirlo. Ci fu un momento di silenzio interdetto in cui i quattro convenuti
si fissarono, poi nell’ordine: l’ospite chiuse gli occhi e sospirò, esausto;
Jim soffocò un’imprecazione e maledisse mentalmente la moglie che voleva sempre
fare di testa sua; Alice portò le mani al volto e sgranò gli occhi, incapace di
emettere il benché minimo suono; Ellie disse: «Wow!»
L’essere sul divano dischiuse
nuovamente gli occhi e gli angoli della bocca gli si incurvarono in un accenno
di sorriso: «In trecento anni è la prima volta che qualcuno mi guarda e dice
wow, piccolina.»
Ellie si alzò e si mosse verso lo
strano individuo. Sua madre la afferrò per un braccio, ma la bambina si
divincolò con decisione, senza nemmeno voltarsi. Gli sfiorò una guancia, la cui
pelle era talmente pallida da lasciar intravedere il reticolo di vene al di
sotto.
«Sei freddo… vuoi che ti porti il
mio pigiamino con gli orsetti?»
Le labbra dell’essere tremarono
di nuovo di ilarità trattenuta, ma ben presto si torsero in una smorfia di
dolore. Si lasciò cadere all’indietro, con i lunghi capelli biondi, quasi
bianchi, a coprirgli il viso esangue. Indossava un lungo cappotto nero dalla
foggia antiquata, e quando i lembi del pastrano si aprirono, agli occhi degli
inorriditi Andrews apparvero quattro enormi squarci che gli attraversavano in
diagonale tutto il petto, sanguinanti e dall’aria infetta.
«Oh mio Dio» disse Alice, «sono
stati quei cani là fuori a ridurla così? Lei ha bisogno di andare in ospedale,
non capisce?»
«Non sono cani… e no… non posso
andare in ospedale… Ellie sa già che sono diverso, in quel modo tutto speciale
che hanno i bambini di capire le cose inspiegabili. Prima o poi lo capirete
anche voi e rimpiangerete di aver acceso quella luce, perché quando vi
convincerete che sono quello che sono, saprete anche che quelli là fuori non
sono cani, ma qualcosa di molto peggio. Ora, vi chiedo, guardatemi.»
L’essere di nome Raistan rivolse
lo sguardo ai tre umani, strani occhi di un azzurro simile al ghiaccio, con
pagliuzze rosse nell’iride e un’inquietante pupilla verticale come quella dei
serpenti.
«La stiamo guardando, mi creda,
non abbiamo occhi che per lei.»
«Allora dite quello che pensate.»
«Lei è… un po’ pallido...»
balbettò Jim.
«E?»
«Sei freddo come la neve! E hai
gli occhi come il mio gatto!»
«Ellie!»
Un lieve sorriso increspò
nuovamente le labbra dell’individuo.
«E?»
«Senta» sbottò Jim, «smettiamola
con i giochetti. A me non interessa cosa è lei, voglio solo sapere cosa ne sarà
di noi e cosa possiamo fare perché tutto questo finisca presto. Cos’è che vuole
farci credere di preciso? Che è un vampiro?»
Il silenzio dello sconosciuto,
quasi come fosse un’ammissione di colpa, diede ulteriormente ai nervi al signor
Andrews. D’un tratto, una sorta di corto circuito mentale lo scosse e fece
esplodere tutta insieme la tensione accumulata.
«Ora basta!» gridò precipitandosi
sull’individuo e prendendogli la faccia tra le mani. «Non è possibile, non ci
credo assolutamente, questo è uno scherzo, una candid camera!»
Jim ne percepì il gelo della
pelle ma volle ignorarlo contro ogni logica: «È tutto un trucco, Alice,
qualcuno ci sta prendendo in giro, questo stronzo è truccato, ha le lenti a
contatto, vero che hai le lenti a contatto?»
Raistan lo lasciò fare. Si lasciò
maneggiare il volto come se fosse stato di pongo, tirare i capelli, persino
aprire la bocca; lasciò che Jim cacciasse esultante un dito nello squarcio sul
suo petto e lo ritraesse di scatto come se si fosse ustionato; poi, veloce come
un serpente, scivolò alle sue spalle, gli bloccò le braccia in una presa ferrea
e avvicinò la bocca a pochi centimetri dalla sua gola, sguainando i terribili
canini.
«Che cosa vede, Alice? Dica a suo
marito che cosa vede in questo momento.»
«I denti, Jim… non sono finti...
oh Dio, la prego, non lo faccia…»
«Ora ci credi, Jim? Credi a tua
moglie?»
Sì che ci credeva, ci aveva
creduto dal momento in cui gli aveva infilato mezza mano nella ferita sul petto
e l’aveva sentita fredda come un pezzo di carne appena uscito dal frigo.
«Sì! Sì, ci credo, lei è un
vampiro, ecco perché ha riso quando le ho proposto dell’acqua, oh Dio, per
favore...»
In un istante, Jim si ritrovò
davanti alla porta-finestra. Era incredibile la velocità con cui il vampiro si
muoveva, gli era parso di volare, e si sentiva maneggiare come se fosse senza
peso. Raistan aprí l’anta a vetri: «Greylord! Vuoi avere sulla coscienza questa
bella famigliola? Lo sai che non mi farei scrupoli, non me ne faccio mai…» una
salva di ululati e ringhi accolse le sue parole. «Allontanatevi! Lasciate che
me ne vada e non farò loro alcun male! Greylord, dove sei? Sei troppo codardo
per farti avanti?»
«Sono qui, Raistan.»
Un individuo enorme vestito di
grigio si fece largo in mezzo al branco di creature gigantesche, mezze uomo e
mezze lupo, che infestavano il giardino degli Andrews. Alla luce dell’unico
lampione di fronte alla loro casa gli occhi degli animali brillavano, rossi
come fanali. «Sai, abbiamo deciso di farti una sorpresa. Che cos’è, in fondo,
una famiglia, se liberando il mondo dalla tua infetta presenza, ne possiamo
salvare altre cento, o mille?»
«COSA?» esclamarono all’unisono
Jim e il vampiro.
«Hai capito bene. Ci dispiace,
signor Andrews, ma lei è incappato in uno dei peggiori rappresentanti della
loro abietta specie. Sono secoli che gli diamo la caccia, e abbiamo deciso che
siamo disposti a tutto pur di mettere fine alla sua vita, stanotte, anche a
sacrificare voi tre.»
«Ma… non potete, abbiamo una
bambina, non…»
«Lo so benissimo, signor Andrews,
e mi dispiace molto, ma non c’è altro modo. Raistan, per il rispetto che ti
porto, nonostante tutto, ti concedo un’ora. Se sarai fortunato, il nostro
veleno ti ucciderà prima, se no verremo a prenderti e non sarà la presenza di
queste persone a fermarci. È tutto chiaro?»
«State
bluffando. Non stai dicendo sul serio, non è mai successo niente del genere,
non potete farlo!»
«Perché
ti scaldi tanto? Entro un’ora lo scoprirai, no?»
«Dovrete
entrare voi, io non uscirò mai.»
«Se
cosí dev’essere, cosí sarà.»
Raistan indietreggiò trascinando
con sé il povero Jim, chiuse la porta e lo lasciò andare. Lui tornò sul divano
e abbracciò la moglie, che piangeva in silenzio, e la figlia, che li osservava con
aria piú curiosa che spaventata. Come avrebbe voluto essere al suo posto,
ignara di tutto…
«È vero quello che ha detto quel
tizio?» chiese Alice, dopo qualche istante.
«Riguardo a cosa?»
«Su di lei. Su quello che ha
fatto.»
«Sono un vampiro, signora Andrews;
solo nei film i vampiri possono decidere di essere buoni. La bontà non può
convivere con la nostra alimentazione, siamo assassini, questo è quanto.»
«Forse però si può decidere chi
uccidere, si può fare un compromesso, no?»
«Lei vuole sapere come scelgo le
mie vittime, giusto? Assolutamente a caso, temo. Non sono un giustiziere, sono
un predatore.»
«Sí, ma non è un animale. È
dotato di intelligenza, cultura, sentimenti, non è possibile che questi fattori
non influenzino in nessun modo le sue scelte, non ci crederò mai. Persino un
leone sceglie l’elemento debole del branco di zebre. Lei vuol farmi credere che
non lo fa?»
«Esatto, non lo faccio, mi spiace
deluderla.»
«Balle.»
Raistan sorrise debolmente e
chiuse gli occhi: «Lei è proprio un bel tipo, non c’è che dire.»
«E ora? Lascerà che quei… quelle
cose entrino qui e uccidano anche noi, oppure penserà a qualcosa?»
Il vampiro sembrava sul punto di
perdere i sensi. La testa gli ricadeva continuamente sulla spalla e si capiva
che stava compiendo uno sforzo immane per rimanere presente.
«Mi risponda, la prego… che
cos’ha intenzione di fare?»
Alice vide gli occhi del vampiro
rovesciarsi all’indietro e si alzò di scatto dal divano, prendendolo per le
spalle e scuotendolo con decisione: «Non ancora, non ci provare…»
«Alice» sussurrò Jim, «di solito
gli ostaggi sono contenti quando il loro sequestratore tira le cuoia, che
diavolo stai facendo, lascialo perdere, usciamo di qua!»
«Hai… hai ragione Jim, mi
dispiace, andiamo.»
Il vampiro allungò fulmineamente
una mano e afferrò Alice per un braccio, strappandole uno strillo.
«Non ancora. Lei deve aiutarmi.
Deve procurarmi un liquido infiammabile e un accendino.»
«Perché? Cosa vuole fare?»
«Voglio neutralizzare il veleno
dei licantropi.»
Jim scattò in piedi come se fosse
stato morso da una vespa: «Licantropi?! Quelli là fuori sono licantropi? Oh,
Signore, non bastavano i vampiri…»
«Che cosa sono i cantropi, papà?»
chiese Ellie con voce stanca; la bimba iniziava a cedere alla sonnolenza.
«Niente, amore, sono le bestie
cattive che ci sono nel nostro giardino.»
«Staranno sempre lí?»
«Spero di no, Ellie. Tu cerca di
dormire, ora, vedrai che quando ti sveglierai se ne saranno andate.»
«Va bene… Posso addormentarmi qui
con voi?»
«Solo per stanotte, signorina.»
«Sí, solo per stanotte.
Buonanotte mamma, buonanotte papà… buonanotte, Signore Bianco.»
«Buonanotte, Ellie…» rispose il
vampiro in un sussurro.
Tacquero tutti per qualche
istante, ognuno perso nei propri pensieri. Alice guardò di sottecchi Raistan e
vide che stava fissando la bambina con uno sguardo pieno di tristezza.
«È tutta la nostra vita.»
«Lo so. Lo posso sentire con
chiarezza. È bello avere qualcuno… o qualcosa per cui vivere.»
«Lei non ce l’ha?»
«No. Mai avuto. Gliel’ho detto,
sono un maledetto egoista. Devo avere quell’alcol e quell’accendino, signora
Andrews. Ora.»
«Va bene, ma non ho ancora capito
cosa vuole fare.»
«Voglio cauterizzare le ferite.»
«Cioè… vuole dare fuoco a tutta
la parte superiore del suo corpo?»
«L’idea è più o meno quella, sì.»
«Lei è pazzo! Se non morirà per
il veleno, ci penseranno le ustioni!»
«Quando glielo dirò, lei mi
dovrà… spegnere.»
Di nuovo silenzio allibito da
parte degli umani.
«Mi rendo conto di mettermi in
una posizione di svantaggio, lei potrebbe decidere di non farlo e io continuerei
a bruciare, ma non deve dimenticare che posso leggere nel pensiero. Se scoverò
questa intenzione, in lei, non esiterò a portarla con me.»
Alice scattò in piedi, furiosa:
«Non c’è bisogno di continuare a minacciare, non ho mai pensato di lasciare che
qualcuno bruciasse vivo nel mio soggiorno!»
«Bene, meglio così. Preferisco
mettere sempre le cose in chiaro.»
Il volto del vampiro grondava di
un inquietante sudore insanguinato.
Alice si alzò e lasciò la stanza
per procurarsi quello che lui aveva chiesto.
«Posso portare la bambina di
sopra? Immagino che non sarà un bello spettacolo» chiese Jim.
«Vada. La voglio di nuovo qui tra
cinque minuti.»
«Grazie. È… è sicuro di quello
che fa?»
«No. Ma è l’ultima cosa che mi
rimane da tentare.»
Stava ritornando sui suoi passi
quando un verso terribile gli mise le ali ai piedi e lo spinse a precipitarsi
giù dalle scale, convinto di trovare la moglie con la gola squarciata. Così non
era: trovò Alice in piedi con una coperta in mano e il volto esangue, mentre il
vampiro si contorceva sul pavimento con la schiena inarcata e il petto in
fiamme. Nel giardino esplose l’ennesima festa di latrati, ululati e grida di
giubilo.
«Spengo? Devo spegnere? La prego,
mi lasci spegnere, oh mio Dio, Jim, sta bruciando vivo, oh Dio...»
Jim portò di scatto una mano alla
bocca per impedirsi di vomitare. Si voltò, come ubriaco, e risalì la scala per
andare dalla figlia, caso mai si fosse svegliata per tutto quel frastuono.
Il vampiro prese a dilaniarsi una
mano con i denti, nel disperato tentativo di trattenere le urla; Alice gridò a
sua volta e quando vide che anche i suoi capelli si stavano incendiando gli si
buttò sopra con la coperta, soffocando le fiamme, per poi crollare a sedere sul
pavimento con lo stomaco in subbuglio. Il corpo alle sue spalle, da cui si
levava soltanto più un filo di fumo, sobbalzava come percorso da scariche
elettriche. Il grido si era ridotto a un rantolo, non meno terribile perché
apparentemente interminabile, cui faceva eco la confusione di fuori.
Alice scattò in piedi, si diresse come una
furia verso la porta-finestra e l’aprì di schianto: «Basta! State zitti,
lasciatelo almeno morire in pace, non avete già fatto abbastanza? E... E... Non
calpestate le mie ortensie!»
Il branco si ammutolì all’istante
e Alice richiuse la porta con violenza, scoppiando a piangere e scivolando a
sedere sul pavimento, esausta. Una risatina la riscosse e le fece sollevare il
viso rigato di lacrime. Il vampiro la stava guardando: «Le… ortensie, Alice?»
Senza più nemmeno la forza di rialzarsi
da terra, la donna gattonò fino a lui e rise a sua volta, quasi isterica, poi
si voltò e vomitò. «Mi scusi… È stata la cosa più spaventosa che mi sia mai
capitata.»
«A me no, purtroppo. Grazie, per
essere rimasta.»
«Almeno ha funzionato? Come si sente?»
«Come se mi avessero dato fuoco…
lo sa Alice, ora è pallida come me.»
Un debole sorriso rischiarò il
viso della donna.
«Venga, l’aiuto a sdraiarsi sul
divano e vado a prendere le bende per fasciarla.»
Il vampiro aveva perso la
consueta eleganza nei movimenti e Alice fu quasi costretta a sollevarlo di peso
da terra. Per fortuna, un Jim terreo e imbarazzato ricomparve e li aiutò
entrambi.
«Com’è andata? Mi spiace, mia
moglie è abituata a vedere ferite di ogni genere, ma io… era troppo, insomma.
Sono solo un commercialista…»
Raistan gli rivolse un debole
sorriso: «È in gamba, Alice. Lei è fortunato.»
«Lo so. Almeno è servito a
qualcosa? Questo… orrore, dico.»
«Detto fra noi, non credo. Forse
ha rallentato un po’ l’infezione, giusto per darmi il tempo di fare quello che
devo fare, ma il veleno era già troppo diffuso. »
Se ne era così sicuro» chiese
Jim, «perché sottoporsi a questa tortura?»
«E privarmi del piacere di
qualcuno che si occupava di me? Della sensazione che le importasse?»
Alice sgranò gli occhi: «Lei è
pazzo, davvero. Potrebbe avere stuoli di vampire e umane bellissime che cadono
ai suoi piedi e preferisce farsi bruciare vivo da un’infermiera trentacinquenne
in sovrappeso.»
«Anche lei è bellissima. È così
viva…»
«Cosa fa, ci prova con mia moglie?»
Tutti e tre sorrisero, poi Alice
e Jim si preoccuparono di fasciare il torace martoriato del vampiro, lavorando
in silenzio sotto il suo sguardo torvo.
«Come fate?»
«A fare cosa?»
«A essere così gentili con uno
come me. Vi sto leggendo e non sento odio, non sento nemmeno una grande paura.
Com’è possibile?»
Alice alzò le spalle: «Lei non
sta bene ed è qui in casa nostra. Cosa dovremmo fare, ormai, stare rintanati in
un angolo a piangere e a tremare di paura? Forse anche lei sarà buono con noi,
alla fine, e non permetterà che quelle bestie entrino e ci uccidano tutti. Sono
sicura che sotto quei canini in fondo batta un cuore, anche se lei fa di tutto
per convincerci del contrario.»
«Nella mia lunga vita ho fatto
cose terribili, mi creda.»
«Non sembra andarne fiero, è già
qualcosa. Qui abbiamo finito. Riposi un po’, ora.»
Raistan chiuse gli occhi e rimase
immobile, come a voler raccogliere le forze.
«Ehm… l’ultimatum sta per
scadere…»
Venti minuti più tardi, il
vampiro scostò la coperta e si mise a sedere, chinando per un attimo la testa
fra le mani, poi fece un lungo sospiro e si alzò in piedi in quella maniera
fulminea che spiazzava tanto gli umani.
«Vorrei il mio cappotto, per
favore.»
«C’è un ingresso sul retro» disse
Alice. «C’è persino una botola sul tetto, potrebbe provare a scappare da lì…»
Alice gli mise le mani sulle
spalle e provò a sospingerlo nuovamente a sedere, ma fu come tentare di
spostare un muro di cemento.
«Raistan Van Hoeck non scappa,
non a questo punto. Ci sono cose che… un vampiro deve fare per il solo fatto di
essere un vampiro. Giusto, Jim?» disse, facendo eco al pensiero dell’uomo di
qualche ora prima.
Jim abbassò lo sguardo e assentì
col capo.
«Voi maschi, di qualunque specie…
siete insopportabili! Perché non vuole nemmeno provare a mettersi in salvo? Non
ha senso!»
Lui sorrise, il primo vero
sorriso di quella folle nottata e Alice pensò che fosse il più triste e dolce
che avesse visto da un sacco di tempo nonostante il balenare fulmineo dei
canini allungati. Poi Raistan prese le mani della donna tra le sue e si chinò a
sfiorarne il dorso con le labbra pallide.
«Non ho detto che non lotterò,
che mi consegnerò come un agnello sacrificale. Ma se è rimasto ancora un
briciolo di umanità in me, non posso stare qui ad aspettare che voi paghiate al
posto mio. Salutatemi Ellie.»
«Sono qui, signore. Vai via?»
«Sì, piccola, devo andare. Mi
spiace di averti svegliato.»
«Non ti vedrò più?»
«Temo di no, Ellie. Devo andare
in un posto molto lontano, ma spero che sarà bello… anche per quelli come me.»
Fece per voltarsi, ma la bambina
lo prese per mano e allungò verso di lui il suo topo di peluche: «Prendilo,
signore. A me fa quasi sempre passare la paura…»
Raistan posò la sua grande mano
pallida e solcata di vene sulla testa della bambina: «Si rovinerebbe troppo,
piccola. Lo porterò con me in un altro modo, qui dentro.» E si toccò il petto.
Poi, il vampiro di nome Raistan
si mosse con la velocità di un’ombra verso la porta-finestra, la aprì e uscì
nel gelo della notte, accolto da un boato terrificante di latrati e ululati.
Gli Andrews corsero verso la
finestra e videro per un attimo il loro strano visitatore acquattarsi in
posizione di battaglia. Sentirono, nonostante il frastuono, il possente ruggito
sgorgare dalla sua gola; incontrarono per un attimo ancora il suo sguardo
riconoscente, poi preferirono non vedere più niente e tentarono di tornare alla
normalità delle loro vite.
L’OSPITE INATTESO di Lucia Guglielminetti
L’OSPITE INATTESO di Lucia Guglielminetti
Nessun commento:
Posta un commento