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domenica 11 maggio 2014

MICHELA SALZILLO si classifica alla SETTIMA POSIZIONE della Gara di Lettere d'amore

Ho continuato ad incontrarti, anche quando mi sono resa conto che l’amore stava cominciando a complicare tutto. L’ho fatto perché ero convinta di riuscire a fermarmi un attimo prima dell’esigenza di averti accanto, senza che la paura  scandisse , invadendo gli attimi, il ritmo della  nostra passione.
Eri il mio dolce tormento senza tempo né pudore, mi abitavi tutti i luoghi dell’anima, e quando cominciavi a toccarmi le mani, mi spegnevi la capacità di ogni parola. È per questo che ho scelto di scriverti.
Non lo so che cosa siamo stati, anche adesso me lo chiedo , ma provare a definirsi credo sia totalmente inutile, abbiamo sempre preferito i sussulti ai gemiti, i respiri alle parole e gli abbracci alle lenzuola. Insieme eravamo il nulla che spiegava la felicità. Ci affondavo nei tuoi occhi blu cobalto, mente mi allenavo al sentire.
Mi hai insegnato, pur essendone totalmente inconsapevole, che bisogna esercitarsi ad ascoltare  il silenzio ed , in quello, assumersi la responsabilità della fragilità emotiva.
È necessario allenarsi a gestire la calma  testimone  del bene, quello che ci racconta che due braccia impegnate a cullarti il sonno,  hanno la capacità di far sparire il mondo con le sue stagioni, senza più l’esigenza di un domani.
Bisogna attraversarla la quiete, ed avere paura, troppo spesso le parole ci coprono i timori, ci fanno agire con frenesia dietro la maschera del fare, correre dietro a qualunque necessità di spiegare, di capire, pur di non stare zitti.
La amo questa stanza, amo il letto a baldacchino e le lenzuola color porpora che profumano di lavanda. Amo la proibizione di farti domande e il peccato a cui mi abbandono ogni volta che varco la soglia della 225. Le rose che disponi al fianco dei vestiti nudi di te , sul pavimento, Amo.
  Adoro questa piccola frazione di reale, perché fa da spettatore alle nostre maledette prime notti.
Dovevi essere una sola occasione concessa al mio corpo inesplorato, una possibilità pratica che dimostrasse alle mie cattive abitudini , di essere un danno per la costruzione della mia auto- stima.
Non che la consapevolezza del mio valore dovesse passare attraverso la tua presenza, ma l’idea di sentirmi finalmente desiderata era un tassello, seppur scevro di equilibrio, su cui costruire il mio attimo di leggerezza.
Quando sentivo il peso del tuo corpo tra le gambe, la tua bocca a segnarmi la pelle e il tuo sguardo perso nel mio, a convincermi che la sensualità parte dagli occhi, era una tacita conferma.
Ho capito che disabilità non vuol dire santità e neppure frigidità. Con te ho smesso di sentirmi la bambola di porcellana che tutti avevano paura di toccare, hai asciugato il mio piacere senza temere di sbagliare.
Era quello il tuo compito: Amarmi senza permettere che ci innamorassimo.
All’inizio l’ho creduto possibile, era già tanto aver trovato una persona che si addormentasse con me dopo aver fatto l’amore, che non avrei potuto forzare il destino chiedendogli di più.
Quando le nostre solitudini hanno cominciato a farsi compagnia fino all’alba, ed ho avvertito dentro di me l’esigenza di prendermi cura della tua anima, ho capito che t’amavo.
Non te l’ho mai detto prima d’ora perché ciò che ti lega a me non è abbastanza per far si che io diventi il tuo tempo indeterminato.
Ti lascio mentre non ci sei, perché non sono più capace di viverti in uno spazio di tempo non preteso ma condiviso, e ho paura che se te lo dicessi a voce alta , non avresti il coraggio di fermarmi fuori da questa stanza.
Mi lascio andare via , prima che me lo chieda tu.
                                                                                      

                                                                             Tua, Sophia


AUTRICE MICHELA SALZILLO


“[…] Non lo so che cosa siamo stati, anche adesso me lo chiedo , ma provare a definirsi credo sia totalmente inutile, abbiamo sempre preferito i sussulti ai gemiti, i respiri alle parole e gli abbracci alle lenzuola. Insieme eravamo il nulla che spiegava la felicità. Ci affondavo nei tuoi occhi blu cobalto, mente mi allenavo al sentire”.

E’ una storia fragile, delicata, imprudente. E’ la storia di un amore che si consuma in una stanza che potrebbe essere definita luogo di un rito, il rito dell’amore. Quell’amore che si scopre pian piano, quell’amore soave, quell’amore leggiadro, che come rose senza spina è lì, attende, osserva, chiede attenzione. E’ un amore di terracotta

“[…] Con te ho smesso di sentirmi la bambola di porcellana che tutti avevano paura di toccare, hai asciugato il mio piacere senza temere di sbagliare”

E’ un amore che fa bene agli occhi, oltre che alle orecchie. E’ un amore che si consuma con insicurezza, - ma non per questo è meno intenso -, la stessa che porterà a chiudere quella porta, e a fuggire per sempre, per la paura di una fine. La fine dei moti dell’amore.

per la Commissione
Gino Centofante


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