Ho continuato ad
incontrarti, anche quando mi sono resa conto che l’amore stava cominciando a
complicare tutto. L’ho fatto perché ero convinta di riuscire a fermarmi un
attimo prima dell’esigenza di averti accanto, senza che la paura scandisse , invadendo gli attimi, il ritmo
della nostra passione.
Eri il mio dolce
tormento senza tempo né pudore, mi abitavi tutti i luoghi dell’anima, e quando
cominciavi a toccarmi le mani, mi spegnevi la capacità di ogni parola. È per
questo che ho scelto di scriverti.
Non lo so che cosa
siamo stati, anche adesso me lo chiedo , ma provare a definirsi credo sia totalmente
inutile, abbiamo sempre preferito i sussulti ai gemiti, i respiri alle parole e
gli abbracci alle lenzuola. Insieme eravamo il nulla che spiegava la felicità.
Ci affondavo nei tuoi occhi blu cobalto, mente mi allenavo al sentire.
Mi hai insegnato, pur
essendone totalmente inconsapevole, che bisogna esercitarsi ad ascoltare il silenzio ed , in quello, assumersi la
responsabilità della fragilità emotiva.
Bisogna attraversarla
la quiete, ed avere paura, troppo spesso le parole ci coprono i timori, ci
fanno agire con frenesia dietro la maschera del fare, correre dietro a
qualunque necessità di spiegare, di capire, pur di non stare zitti.
La amo questa stanza,
amo il letto a baldacchino e le lenzuola color porpora che profumano di
lavanda. Amo la proibizione di farti domande e il peccato a cui mi abbandono
ogni volta che varco la soglia della 225.
Le rose che disponi al fianco dei vestiti nudi di te , sul pavimento, Amo.
Adoro questa
piccola frazione di reale, perché fa da spettatore alle nostre maledette prime
notti.
Dovevi essere una
sola occasione concessa al mio corpo inesplorato, una possibilità pratica che
dimostrasse alle mie cattive abitudini , di essere un danno per la costruzione
della mia auto- stima.
Non che la
consapevolezza del mio valore dovesse passare attraverso la tua presenza, ma
l’idea di sentirmi finalmente desiderata era un tassello, seppur scevro di
equilibrio, su cui costruire il mio attimo di leggerezza.
Quando sentivo il
peso del tuo corpo tra le gambe, la tua bocca a segnarmi la pelle e il tuo
sguardo perso nel mio, a convincermi che la sensualità parte dagli occhi, era
una tacita conferma.
Ho capito che
disabilità non vuol dire santità e neppure frigidità. Con te ho smesso di sentirmi
la bambola di porcellana che tutti avevano paura di toccare, hai asciugato il
mio piacere senza temere di sbagliare.
Era quello il tuo
compito: Amarmi senza permettere che ci innamorassimo.
All’inizio l’ho
creduto possibile, era già tanto aver trovato una persona che si addormentasse
con me dopo aver fatto l’amore, che non avrei potuto forzare il destino
chiedendogli di più.
Quando le nostre
solitudini hanno cominciato a farsi compagnia fino all’alba, ed ho avvertito
dentro di me l’esigenza di prendermi cura della tua anima, ho capito che
t’amavo.
Non te l’ho mai detto
prima d’ora perché ciò che ti lega a me non è abbastanza per far si che io
diventi il tuo tempo indeterminato.
Ti lascio mentre non
ci sei, perché non sono più capace di viverti in uno spazio di tempo non
preteso ma condiviso, e ho paura che se te lo dicessi a voce alta , non avresti
il coraggio di fermarmi fuori da questa stanza.
Mi lascio andare via
, prima che me lo chieda tu.
Tua, Sophia
AUTRICE MICHELA SALZILLO
“[…] Non lo so che cosa siamo
stati, anche adesso me lo chiedo , ma provare a definirsi credo sia totalmente
inutile, abbiamo sempre preferito i sussulti ai gemiti, i respiri alle parole e
gli abbracci alle lenzuola. Insieme eravamo il nulla che spiegava la felicità.
Ci affondavo nei tuoi occhi blu cobalto, mente mi allenavo al sentire”.
E’ una storia fragile, delicata, imprudente.
E’ la storia di un amore che si consuma in una stanza che potrebbe essere
definita luogo di un rito, il rito dell’amore. Quell’amore che si scopre pian
piano, quell’amore soave, quell’amore leggiadro, che come rose senza spina è
lì, attende, osserva, chiede attenzione. E’ un amore di terracotta.
“[…] Con te
ho smesso di sentirmi la bambola di porcellana che tutti avevano paura di
toccare, hai asciugato il mio piacere senza temere di sbagliare”.
E’ un amore
che fa bene agli occhi, oltre che alle orecchie. E’ un amore che si consuma con
insicurezza, - ma non per questo è meno intenso -, la stessa che porterà a
chiudere quella porta, e a fuggire per sempre, per la paura di una fine. La
fine dei moti dell’amore.
per la Commissione
Gino Centofante
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