Carissimo Meron,
ti scrivo per salutarti perché ho
deciso di lasciare il Wolaita per tornare in Italia, nel mio mondo perfetto e
soffocante, sperando di fare un po’ di chiarezza nel mio cuore.
Spero che questa sarà solo una
situazione provvisoria, una lontananza necessaria e comprensibile, affinché io
possa ritornare nuovamente fra le tue braccia e questa volta per sempre.
E’ difficile far conciliare i
sentimenti con nuove abitudini e dovresti saperlo, perché sei stato anche tu
uno straniero. Il problema è che non è
vero che tutto è relativo. Non è vero che ogni terra è la tua terra perché, con
il luogo dove siamo nati, c’è un legame speciale che ciascuno possiede ed è
nostro diritto difenderlo.
I sentimenti che nutro per te mi hanno
fatto fuggire da dolci realtà, per rincorrerti, perché volevo saldare il nostro
legame. Mi sono affacciata nel tuo mondo in cerca di un’emozione sempre più
forte, ma delle volte occorre lasciarsi guidare non solo dal cuore, ma anche
dalla ragione perché la ragione il più delle volte aiuta la mente a ritrovare
la retta via.
Tu perché mi spaventi, mi attrai e mi
fai fuggire? Tu che non fai parte delle mie certezze, del mio passato, delle
mie abitudini … perché sei nei miei progetti futuri?
Per favore non chiedermi di spiegarti,
di sapere…perché, mi dispiace, ma non sono in grado di dare delle risposte: non
so cosa voglio e cosa vorrei. Una tempesta non è mai prevedibile: arriva mentre
tutto è immobile, travolge, sconquassa e poi si spegne, lasciando strascichi
che possono durare in eterno o forse no.
Io mi lascio sballottare con violenza
da tutti i capricci delle emozioni.
Il capriccio di un rimpianto ma
soprattutto di una nostalgia.
Non è vero che con il tempo ci si
abitua e non è nemmeno vero che il tempo esorcizza il passato perché i miei
dubbi, le mie paure e le mie angosce come alghe sopra il dorso dell'onda ancora
continuano a scivolare via come brividi.
Non so se siamo fatti per stare insieme
perché ci sono troppe cose che ci allontanano e
delle volte solo l’amore non basta.
Mi fai molta tenerezza quando cerchi a
tutti i costi di integrarti in un universo che non ti appartiene e mi fa male
vedere le tue radici affondare nell’ansia della vita moderna, nei timori, nello
stress e nella depressione che accompagnano il mio vivere. Tu sei nato in una
terra dove l’unica luce viene dal sole, dove
i colori sono quelli della natura selvaggia e incontaminata, dove regalo
significa acqua per non morire, dove il nuovo anno è solo un altro giorno di
sofferenza, di malattia e di fame.
Tu sei nato in una metropoli di
povertà, dove la gente a piedi nudi e la schiena curva, percorre le strade
polverose della città, alla ricerca di una fortuna che non troverà mai.
Vivi
di piccoli appezzamenti di terra che non bastano però alla
sopravvivenza. A piogge torrenziali
seguono lunghi periodi di siccità. La gente è povera, soffocata dai latifondi
dei grandi proprietari e dal continuo braccio di ferro con madre natura, avara
di piogge e di raccolti. Perdi il raccolto, una, due, tre volte di seguito. A
me impressiona la tua resistenza. Senza un lamento, abbarbicato a questa terra
secca. Tu sai sopportare, aspettare, sai essere fatalista.
Da te ho imparato la tenacia, la
pazienza e la mitezza. Hai tanta
dignità, la dignità di chi non ha, di chi non spera nulla, ma si
accontenta…perché ha capito che la vita è un dono ed è un dono anche quando
riserva dolore e morte.
Questa tua dignità mi ha scosso nel
profondo e da questa dignità ho imparato a vivere ed apprezzare quello che
invece davo per scontato, ma che scontato non è quando si vive in una terra
come la tua.
L’impatto è stato duro perché ho visto
una povertà terribile. La mia mente era entrata in uno stadio quasi catartico,
dove non trovavano spazio altre preoccupazioni. Ogni cosa cambia: il tempo si
dilata, i ritmi sono rallentati, anche l’ansia scompare, tutto diventa pace e
io stessa ho avuto l’impressione di
essere diventata una di voi.
Il Wolaita, la tua terra, mi ha aiutata
a scoprire me stessa, a ritrovare dimensioni e valori che il mio tempo ha
scordato, come l’essenzialità del vivere, l’interiorità e il silenzio. Il
silenzio dell’Africa ha mille voci: quella del vento, dei miei passi sulla
terra rossa e dei bambini che gridano “monhei... monhei”. Questo silenzio mi ha
dato la possibilità di riflettere.
Tu sei stato per me un grande maestro
di vita.
Ora voglio ritornare a casa così potrò
capire se mi mancheranno i grandi spazi di quella terra e se mi mancherai tu
soprattutto.
Questa povera realtà ha fatto maturare
in me l’idea che la dimensione in cui vivo sia solo un piccolo tassello del
puzzle chiamato mondo e che non si possono ignorare le altre realtà per capire
cosa siano veramente la solidarietà, la giustizia, la cooperazione e il
crescere insieme anche nelle differenze.
Tu mi hai insegnato che il linguaggio
dell’amore abbatte ogni diversità.
L’allegria e il tuo calore sono i
regali più grandi e più belli che io porterò a casa con me.
Non è stato facile vivere qui per
giorni e giorni. La complessità delle situazioni etiopiche esige scelte
difficili, sofferte, l’immersione in una cultura diversa non si lascia mai
catturare definitivamente perché deve essere compresa e ri – compresa in
continuazione.
L’Africa mi sembrava lontanissima
quando la televisione trasmetteva immagini di dolore e di morte. Ora ho capito
che i paesi in via di sviluppo, prima di essere paesi poveri da aiutare,
clienti che ci permettono guadagni colossali, sacche di manodopera a basso
costo da utilizzare o pattumiere in cui versare illegalmente i nostri rifiuti,
sono luoghi che insegnano e che vale la pena ascoltare perché ci aiutano a
cambiare prospettiva, a uscire dalla nostra presunta superiorità e a misurarci
con altri orizzonti, altri parametri e altre certezze per ritrovare la sempre
uguale fame e sete di giustizia che sa restituire ad ogni persona la sua
dignità e i suoi diritti.
Insieme abbiamo sempre cercato di non
mascherare le nostre differenze, perché entrambi lottiamo per il confronto
intessuto di tolleranza e di rispetto. Non ti nascondo che molte persone mi
hanno detto:
“Stai alla larga da quel ragazzo…”.
Io credo che la paura dell’altro nasce
dagli stereotipi, dalle incomprensioni, dall’ignoranza premeditata e dalla
pigrizia. Ma si radica se manca il confronto perché non si apre un credito di
fiducia nei confronti del prossimo.
Noi ci amiamo e non esiste separazione
tra me e te ma solo unità in tutte le cose. Unità assoluta nella religione
seppure diversa e contrastante. Io non cerco di convertirti al cristianesimo né
voglio farmi influenzare dall’islamismo per nessuna ragione. Convertirsi
significa mutare atteggiamento interiore nei confronti del creato e delle
creature e, ancor di più, dover fare sacrifici, rinunciare ad una parte di se
stessi e di privilegi.
Noi abbiamo semplicemente amalgamato
questa differenza con la forza universale dell’amore, per il quale non vale regole
diverse tra un credo e l’altro. L’amore è la legge della vita che fa crollare
atteggiamenti egoistici e impalcature
ideologiche differenti.
“Multiculturalità”: fino a qualche anno
fa in Italia erano solo parole che giravano vaghe tra gli allertati dai primi
arrivi di immigrati, ognuno con il proprio bagaglio di cultura, tradizioni,
mentalità e lingua, diverse dalla nostra. Io ero convinta di non dover mai, o
chissà quando entrare nel vivo del problema. Ma ora è una realtà che mi tocca
con mano. Io non voglio, però, che tu Meron cerchi di dimenticare da dove sei
venuto per adagiarti alla mia realtà. Accetto la diversità perché voglio che
tra di noi ci fosse un’azione di scambio tra le nostre culture e la nostra
religione senza che l’uno annulli l’altro, cercando di inter-agire con la
ricchezza che ognuno ha in se stessi, frutto di sapienza antica stratificata
nel tempo.
Noi siamo due mondi opposti,
inconciliabili o due entità che possono convivere insieme?
La domanda presto avrà una risposta.
Intanto ti posso dire che il mio amore
è nato partendo da questa domanda, sopra una diversità tangibile ma mai
demonizzata. Per amarsi ci si deve conoscere prima, al di là dei pregiudizi.
L’amore porta con se il rispetto e fa evolvere il rapporto ad un livello spirituale.
Io credo che fra me e te ci sia
qualcosa di più grande dell’amore.
Ti ringrazio per questa opportunità che
mi dai e ti prometto che non la sciuperò ma la userò semplicemente per
rafforzare la mia fragilità. A te questa mia fragilità sembrerà debolezza e
spero che un giorno me lo perdonerai.
Non voglio farti soffrire.
Ho sempre creduto che la vita sostiene
il destino di chi si ama e sono certa che ritorneremo insieme perché in fondo è
ciò che desideriamo.
Spero che mi perdonerai e che potremo
rivederci presto ma soprattutto spero che quando ritornerò la tua porta sarà
per me ancora aperta!
Un abbraccio forte.
AUTRICE SARA FRANCUCCI
Questa è la storia di un amore sofferto, cercato, voluto. Un amore negato agli occhi di passanti distratti, imbevuti di un sentimento del timore verso un diverso da noi che troppo spesso fa paura, viene demonizzato, è terra da non esplorare. E’ artificio e sostanza di passioni maligne.
E’ l’amore per L’Africa, l’incontro e la navigazione di una realtà che ci sorprende, che mai ci saremmo aspettati che così fosse; tante volte si sente parlare di questa terra, ma solo vivendola, sbattendoci la testa se ne assaporano le vere fragranze, gli aneliti della natura, le ingiustizie covate in animi contenitori di potere. Il potere che distrugge. L’economia della servitù.
Dietro questo sfondo c’è la storia d’amore di Meron e la sua amata, che presa dai suoi costanti dubbi decide dopo di aver assaggiato questa terra bistrattata, di fuggire, di non dire addio, ma un arrivederci pieno di speranza e allo stesso tempo sofferenza.
In realtà il dubbio era frutto della madre nostalgia delle sue origini: “Non è vero che con il tempo ci si abitua e non è nemmeno vero che il tempo esorcizza il passato perché i miei dubbi, le mie paure e le mie angosce come alghe sopra il dorso dell'onda ancora continuano a scivolare via come brividi”.
Ma i sentimenti parlano: “Noi ci amiamo e non esiste separazione tra me e te ma solo unità in tutte le cose”. Un’unità che sembra essere allontanata, che come numeri primi si guarda a distanza, ma non aspetta altro che riavvicinarsi per riprovare la bellezza dell’unicità delle forme, le forme dell’amore, infinite.
per la Commissione
Gino Centofante
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