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sabato 14 giugno 2014

"La mia amica ebrea" di REBECCA DOMINO - la recensione a cura di Gino Centofante

LA MIA AMICA EBREA
di Rebecca Domino

Amburgo, 1943. La vita di Josepha, quindici anni, trascorre fra le uscite con le amiche, le lezioni e i sogni, nonostante la Seconda Guerra Mondiale. Le cose cambiano quando suo padre decide di nascondere in soffitta una famiglia di ebrei. Fra loro c'è Rina, quindici anni, grandi e profondi occhi scuri. Nella Germania nazista, giorno dopo giorno sboccia una delicata amicizia fra una ragazzina ariana, che è cresciuta con la propaganda di Hitler, e una ragazzina ebrea, che si sta nascondendo a quello che sembra essere il destino di tutta la sua gente. Ma quando Josepha dovrà rinunciare improvvisamente alla sua casa e dovrà lottare per continuare a sperare e per cercare di proteggere Rina, l'unione fra le due ragazzine, in un Amburgo martoriata dalle bombe e dalla paura, continuerà a riempire i loro cuori di speranza.
Un romanzo che accende i riflettori su uno dei lati meno conosciuti dell'Olocausto, la voce degli "eroi silenziosi", uomini, donne e giovani che hanno aiutato gli ebrei in uno dei periodi più bui della Storia.


Già la trama ci fa capire che il libro d’esordio dell’autrice indipendente Rebecca Domino tratta dei temi non proprio semplici, dei temi che spingono alla riflessione, al sentimento del ricordo, della commemorazione.
Il libro si svolge ad Amburgo, intorno al 1943, il padre ormai menomato, non è più indispensabile, utile alla guerra, ed è così costretto a tornare a casa. Un uomo dall’animo buono, tantoché decide di ospitare la famiglia ebrea del signor Binner in casa propria, nella soffitta.
Il libro racconta dell’evoluzione della vita di Josepha, ma l’elemento paradossale e anche forse che rende appassionante la lettura e che questa ospitalità dovrà rimanere segreta, proprio perché nella famiglia che ospita c’è un componente che è un nazista.
La scrittura dell’autrice rende vivo lo svolgersi dei bombardamenti, dei soprusi, delle ingiustizie:

“Un uccellino passa poco sopra le nostre teste, le nuvole si trascinano nell'aria.
- Ricordate la vita prima della guerra? – chiedo, retoricamente.
 Nessuna delle mie amiche risponde, ma so che la ricordano benissimo. A volte, temo che un giorno mi sveglierò e non sarò più in grado di ricordare la vita prima del 1939: se anche allora le cose erano già strane, io ero troppo piccola per rendermene conto e comunque noi tedeschi potevamo vivere tranquillamente.  Ho paura, ho paura che quei ricordi svaniranno e che questa guerra andrà avanti per altri anni e allora non ricorderò più com'era dormire senza il terrore di essere svegliati dal frastuono delle bombe, senza il terrore di non veder nascere il sole di un nuovo giorno”.

Il libro si svolge narrando questa avventura familiare, ricca, intensa, tenera, ma anche cruda e diretta allo stesso tempo, arrivando a mostrare al lettore, che anche nella demenza dei sentimenti, nella asportazione delle emozioni meno pure, può esserci bellezza, quella bellezza che è portata avanti da una amicizia. L’amica tra due etnie, non meno bella e intensa da tutte le altre possibili.

“ […] nascondo il viso contro il petto di mia madre e lascio che le sue parole senza senso mi cullino, mi portino via, in un mondo lontano, dove le bombe non possono cadere.


Immaginando un mondo lontano, un mondo privo di bombe, un mondo colorato, Rebecca ci racconta questa storia in maniera intensa, con molte descrizioni, con quel senso del dovere che dovremmo oggi più che mia sentire tutti: quello di non dimenticare, perché dimenticando perderemmo le nostre origini. Origini anche del male.

Gino Centofante


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