LA MIA AMICA EBREA
di Rebecca Domino
Amburgo, 1943. La vita di
Josepha, quindici anni, trascorre fra le uscite con le amiche, le lezioni e i
sogni, nonostante la Seconda Guerra Mondiale. Le cose cambiano quando suo padre
decide di nascondere in soffitta una famiglia di ebrei. Fra loro c'è Rina,
quindici anni, grandi e profondi occhi scuri. Nella Germania nazista, giorno
dopo giorno sboccia una delicata amicizia fra una ragazzina ariana, che è
cresciuta con la propaganda di Hitler, e una ragazzina ebrea, che si sta
nascondendo a quello che sembra essere il destino di tutta la sua gente. Ma
quando Josepha dovrà rinunciare improvvisamente alla sua casa e dovrà lottare
per continuare a sperare e per cercare di proteggere Rina, l'unione fra le due
ragazzine, in un Amburgo martoriata dalle bombe e dalla paura, continuerà a
riempire i loro cuori di speranza.
Un romanzo che accende i
riflettori su uno dei lati meno conosciuti dell'Olocausto, la voce degli
"eroi silenziosi", uomini, donne e giovani che hanno aiutato gli
ebrei in uno dei periodi più bui della Storia.
Già la trama ci fa capire che il
libro d’esordio dell’autrice indipendente Rebecca Domino tratta dei temi non
proprio semplici, dei temi che spingono alla riflessione, al sentimento del
ricordo, della commemorazione.
Il libro si svolge ad Amburgo,
intorno al 1943, il padre ormai menomato, non è più indispensabile, utile alla
guerra, ed è così costretto a tornare a casa. Un uomo dall’animo buono,
tantoché decide di ospitare la famiglia ebrea del signor Binner in casa
propria, nella soffitta.
Il libro racconta dell’evoluzione
della vita di Josepha, ma l’elemento paradossale e anche forse che rende
appassionante la lettura e che questa ospitalità dovrà rimanere segreta,
proprio perché nella famiglia che ospita c’è un componente che è un nazista.
La scrittura dell’autrice rende
vivo lo svolgersi dei bombardamenti, dei soprusi, delle ingiustizie:
“Un uccellino passa poco sopra le
nostre teste, le nuvole si trascinano nell'aria.
- Ricordate la vita prima della
guerra? – chiedo, retoricamente.
Nessuna delle mie amiche risponde, ma so che
la ricordano benissimo. A volte, temo che un giorno mi sveglierò e non sarò più
in grado di ricordare la vita prima del 1939: se anche allora le cose erano già
strane, io ero troppo piccola per rendermene conto e comunque noi tedeschi
potevamo vivere tranquillamente. Ho
paura, ho paura che quei ricordi svaniranno e che questa guerra andrà avanti
per altri anni e allora non ricorderò più com'era dormire senza il terrore di
essere svegliati dal frastuono delle bombe, senza il terrore di non veder
nascere il sole di un nuovo giorno”.
Il libro si svolge narrando
questa avventura familiare, ricca, intensa, tenera, ma anche cruda e diretta
allo stesso tempo, arrivando a mostrare al lettore, che anche nella demenza dei
sentimenti, nella asportazione delle emozioni meno pure, può esserci bellezza,
quella bellezza che è portata avanti da una amicizia. L’amica tra due etnie,
non meno bella e intensa da tutte le altre possibili.
“ […] nascondo il viso contro il
petto di mia madre e lascio che le sue parole senza senso mi cullino, mi
portino via, in un mondo lontano, dove le bombe non possono cadere.
Immaginando un mondo lontano, un
mondo privo di bombe, un mondo colorato, Rebecca ci racconta questa storia in
maniera intensa, con molte descrizioni, con quel senso del dovere che dovremmo
oggi più che mia sentire tutti: quello di non dimenticare, perché dimenticando
perderemmo le nostre origini. Origini anche del male.
Gino Centofante
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