“Che t’inquieta/ anima
mia,/ che vai/ febbricitante/ di astro in astro.// Che ti affanna/ anima mia,/
che incauta/ t’aggiri/ di selva in selva/ e penetri/ di ombra in ombra.// Che
ti flagella/ anima mia,/ che ti esponi/ ai venti/ di tormenta/ e t’avventuri/
fra i flutti/ tumultuosi.// […]” - “Anima mia”
La
prima poesia che incontriamo nella silloge “La cenere del tempo” è “Anima mia”,
un’invocazione dell’Io poetico alla
propria anima per esortarla a seguire la sua narrazione durante il lungo
percorso che si è in procinto di compiere.
“La cenere del tempo” è l’ultima
pubblicazione di Giovanna Fracassi,
edita nell’aprile 2014 dalla casa editrice Rupe
Mutevole Edizioni per la collana Trasfigurazioni.
Una silloge che continua le tematiche care all’autrice come la solitudine, la
malinconia, il dolore, la separazione, la nostalgia.
Tematiche
che ritroviamo per l’appunto anche nelle due precedenti pubblicazioni di Giovanna:
“Arabesques” ed “Opalescenze”. Un Io in eterna ricerca
del proprio animo e della comprensione dei propri stadi umorali.
Giovanna Fracassi è stata molto
disponibile nel rispondere ad alcune domande sulla sua poetica e sulla sua
nuova silloge. Buona lettura!
A.M.: “Arabesques”, “Opalescenze” ed
ora “La cenere del tempo”. Senti un cambiamento nella tua poetica?
Giovanna
Fracassi: Da quando, dopo un lungo periodo,
ho ricominciato, scrivere, per me, è diventata un’esigenza quasi quotidiana. A
volte i pensieri che urgono per aver voce sono come un fiume in piena. È
pertanto naturale che la mia poetica sia in continua evoluzione. I temi di
fondo a me cari sono sostanzialmente i medesimi ma vi è una continua ricerca di
approfondimento e di nuove forme espressive. I temi
ricorrenti nelle mie poesie sono l’assenza, la nostalgia, la malinconia, il
ricordo e lo smarrimento, talvolta la rabbia, Essi sono tutti correlati e
costituiscono i riflessi tangibili di quella che è la mia filosofia. La cifra ultima rimane comunque il dolore:
il dolore visto non sempre e non solo in modo negativo ma come possibilità
dell’esistenza stessa. Nulla può crearsi se non utilizzando ciò che è già
distrutto o comunque con un atto di dolore, di separazione (come avviene per
esempio nella nascita). Dal dolore e con il dolore si creano nuova vita, nuove
esperienze, nuove emozioni, nuove realtà. Al dolore sono connessi la nostalgia per ciò
che è passato, per i volti che il tempo si è portato via , la malinconia con tutto il suo struggimento per ciò che più
non è né più potrà essere e del quale si sente la mancanza. Ed è l’assenza che
permea di sé il dolore; assenza intesa non solo di qualcuno o di qualcosa ma
soprattutto di quell’io che è in continua trasformazione, è cangiante e mutevole
al punto tale da creare sgomento, inquietudine, ricerca di quel nucleo profondo
non solo di se stessi ma della nostra vicenda sulla terra. Infine lo
smarrimento, la vertigine di sgomento che si provano di fronte alla
consapevolezza dell’ ineludibilità del proprio
trascolorare in un tempo delimitato e il senso di rabbia impotente per tutte le
esperienze, le emozioni, le occasioni
che non si potranno vivere, cogliere. Ecco
allora che una vita non basta, ecco allora il grido disperato e la strenua
difesa di una speranza: che tempo e spazio siano dimensioni inconsistenti che
si possa e si debba giocarsi ancora e ancora. In tempi e spazi che non si
rammentano e non si conoscono ma che esistono e che consentono anche di
ritrovare, di intercettare quelle anime, quegli spiriti che tanto si amano.
Da questo scaturisce
il sentimento della solitudine, la solitudine esistenziale, connaturata
alla stessa vita, solitudine che si apre all’empatia verso l’altro vissuto come
temporaneo compagno di viaggio, per un breve o lungo tratto della propria
storia e al quale si può donare la propria partecipazione e dal quale si può
ricevere altrettanto ben sapendo però l’estrema provvisorietà di ogni incontro,
di ogni rapporto. Per concludere, dolore
nella sua accezione più ampia per me coincide, in massima parte , con l’idea
del nulla. Quel nulla dal quale proveniamo e al quale torniamo (e qui
naturalmente esulo da qualsiasi discorso religioso), un nulla però che ha in sé
le infinite possibilità dell’esistenza, delle esperienze di vita, degli
incontri, delle emozioni e dei sentimenti. Un nulla che ci circonda e ci rende
portatori di significato e di fronte al quale proviamo un forte senso di
smarrimento: perché sapere di potersi giocare la propria vita è una
consapevolezza che sa, essa pure, di vertigine. Il
nostro viaggio è un camminare sul precipizio del nulla, ma finché ci siamo noi,
non c’è il nulla ma il significato. Ancora v’è
dolore nel ricordare non solo persone a noi care che si sono allontanate o che
non ci sono più ma anche nel pensare a quel nostro tempo vissuto nei
luoghi dell’infanzia: malinconia,
struggimento, nostalgia per un giardino, per una casa, o una stanza, ma anche
per le voci, i volti, le attività, i giochi. Ovvero per quella parte di noi che
non c’è più, s’è allontanata in quel nulla, in quel tempo che non può più
ritornare; per quel noi stessi che non siamo più. Il cerchio così si chiude: è
con il dolore che emergo dal nulla, è il
dolore che accompagna ogni fase della vita, è con il dolore che al nulla ritorno. Nelle mie poesie vi sono parole che tornano spesso: tempo,
spazio, assenza, anima. Anima perché tutto:
pensieri, riflessioni, emozioni, sentimenti; si genera e vive in questo
concetto di cui mi servo per indicare la mia interiorità, quel “luogo” appunto
dove il tempo non ha più significato e l’ieri, l’oggi e il domani sono
categorie superate nella speranza che tutto possa ritornare che niente sia
davvero perso per sempre e che di ciascuno di noi rimanga sempre qualcosa.
A.M.: La copertina della tua nuova
silloge è una tua fotografia, ci racconti qualcosa su quella casa innevata che
domina il paesaggio?
Giovanna Fracassi: Ho scattato la foto della
copertina parecchi anni fa: si tratta della mia casa natale. Non vi abito più
da molto tempo ma vi ho trascorso gran parte della mia vita e tutti gli
avvenimenti importanti della mia esistenza sono stati vissuti in quelle stanze.
Molte delle mie poesie hanno come sfondo e riferimento proprio questa casa e il
grande giardino dove sono cresciuta. Il breve componimento, posto in apertura
della silloge, “Dimora” è riferito ad essa.
A.M.: Il concetto di tempo ha da sempre
affascinato il versificare dei poeti, qual è il tuo rapporto con il tempo?
Giovanna Fracassi: Il tempo è, per me, il
respiro della vita. Senza questo concetto non potremmo collocare i ricordi,
agire nel presente, proiettarci nel futuro. Esso ha una duplice valenza: quella
soggettiva, il mio tempo, la mia storia; e quello oggettiva, la storia
universale, il tempo condiviso, quello degli altri. Io scrivo del tempo
soggettivo interpretato secondo la mia poetica e declinato alla luce delle mie
esperienze.
A.M.: Qual è il tuo rapporto con la
notte?
Giovanna Fracassi: Molti sono i momenti della
giornata che mi affascinano: l’alba, il tramonto e la notte. Questa è cesura di
un dì dall’altro, il momento sospeso in cui tutto è stato e tutto deve ancora
essere. In questo senso è un mistero nel quale mi piace sprofondare per entrare
in contatto con la mia parte più autentica, e ascoltare il sedimentarsi delle
riflessioni e delle emozioni che durante il giorno, nelle attività frenetiche,
faticano ad emergere. Nella notte i sensi si aprono e suoni, profumi, immagini portano l’infinito dentro di me ed il
contatto con l’universo e l’eternità si fa più intimo e più intenso
A.M.: Ci sono degli autori
contemporanei che leggi e stimi? Ci consigli qualche nome?
Giovanna Fracassi: Premetto: preferisco leggere
autori classici. Tra i moderni apprezzo
Salinas, Neruda, Quasimodo, Saba.
A.M.: Tre raccolte poetiche pubblicate
con la casa editrice Rupe Mutevole Edizioni. Che rapporto hai con l’editrice ed
i suoi collaboratori?
Giovanna Fracassi: Con la casa Editrice Rupe Mutevole
e con i suoi collaboratori i rapporti sono ottimi, come dimostra il fatto che
sono giunta ben alla terza pubblicazione singola più una partecipazione ad una
antologia. In particolare apprezzo, oltre all’ indiscussa professionalità, la
volontà di conoscere i propri autori e di mantenere una buona comunicazione
improntata alla trasparenza, alla sincerità ed ad una collaborazione proficua.
Si stabiliscono in questo modo rapporti di stima e di fiducia reciproci.
A.M.: Nella lirica “Il vecchio” scrivi:
“Gli occhi cerulei/ del vecchio/ si spalancano sorpresi/ increduli:/ che mai
porterà il futuro?//[…]”, ed a fine intervista ti chiedo: che cosa ti aspetti
da questa nuova pubblicazione?
Giovanna Fracassi: Ho scritto questa lirica
dopo aver ammirato, all’interno di una mostra d’arte, il ritratto di un uomo
anziano. Gli occhi vivaci e lo sguardo intenso mi hanno fatto pensare alla
curiosità ed al desiderio di conoscenza che possono essere presenti anche in
chi sa che il tempo non gli basterà per soddisfarli. Ritorno al concetto del
tempo. Infatti ho deciso di pubblicare, ogni qualvolta ho una silloge pronta,
al più presto, proprio perché mi sento in gara con il trascorrere veloce della
mia vita. Desidero, pertanto, che rimanga traccia del mio pensiero e che a
qualcuno possa giungere la mia voce.
A.M.: Salutaci con una citazione…
Giovanna Fracassi: Sono due le citazioni con le
quali mi piace salutarvi. Entrambe sono
per me significative perché in ciascuna riverbera qualche elemento del mio
poetare.
“A cosa servono i versi se non a quella notte/ in cui un pugnale amaro
ci esplora, a quel giorno,/ a quel crepuscolo, a quel cantuccio offeso/ dove il
cuore stremato dell’uomo si prepara a morire?” - Pablo Neruda
“Se poetando io potessi penetrare nel mio petto, afferrare il mio
pensiero e con le mani deporlo nel tuo, senz’altre aggiunte: allora, per confessare
la verità, sarebbe esaudita tutta l’esigenza della mia anima.” - Heinrich
von Kleist
A.M.: Giovanna, spero vivamente che il
tuo poetare abbia aperto le porte del pensiero, come suggerisce la citazione
che hai scelto. Grazie per il tempo che mi hai dedicato.
Written
by Alessia Mocci
Addetta Stampa
(alessia.mocci@hotmail.it)
Info
http://www.rupemutevoleedizioni.com/letteratura/novita/la-cenere-del-tempo-di-giovanna-fracassi.html
Fonte
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