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sabato 24 ottobre 2015

SOUNDTRACKS la silloge di DAVIDE ROCCO COLACRAI - la recensione di Vincenzo Monfregola

SoundtrackS una silloge dai versi tendenti al classico
a cura di Vincenzo Monfregola

Impronta classica ai versi di SoundtrackS, mai scontati e con un "perché" che scruta la coscienza laddove ve n'è una.
Davide Rocco Colacrai è l'autore di questa silloge, porta ai lettori pagine di assoluta devozione morale, scrive di petto, emozioni che coperte da una sofisticata seta, sfiorano il barlume del vero scritto nella storia.

SoundtrackS è una raccolta di parole in versi, poesie che quasi riescono a materializzare stati d'animo, racconti che portano gli occhi a quelle vite che non si sono mai incontrate, è il caso di Rossosangue/Biancolatte: [...] Dicono le stelle che i sogni palesano/il colore del cuore,/sono bianchi quando siamo soli,/come il vuoto in cui galleggia la luna/quando non è piena;/sono rossi quando siamo innamorati,/come il sangue quando scorre nelle vene/all'impero di un ricordo.[...].

Temi importanti, per quanto la polemica riempie i talk show pomeridiani, non è mai troppo spostare la sensibilità all'umanità condannata, delicatamente l'autore sfiora e tratta l'omosessualità, crudo porta sulla carta l'atroce sorte che scrive la storia in Pietre di sangue senza nome (Lapidazione): [...] Sul cuore di costui erano lacrime di cenere/e ombre di spina./Pietre furono accompagnate contro di lui da/mani sorelle senza volto/erano pugni contro un cielo di spalle gravido/già di orazioni inesaudite [...] - è la persecuzione che nessun tempo è ancora riuscito a cessare, è la lapidazione contro la diversità che tale non è; Colacrai fonde parole d'inchiostro su fogli di carta grezza e porta agli occhi lacrime di amara consapevolezza. 
L'uomo distrugge, diventa unico carnefice di se stesso, condanna i figli del mondo che come marionette vengono obbligati ad un palco destinato ai riflettori spenti.

SoundtrackS non è una silloge per la lettura leggera, richiede un cuore che ama accogliere parole narranti di un mondo vissuto, sono poesie che rimembrano il tempo.

Singolare "La donna della panchina di frontiera" dove i sogni sembrano essere custoditi da un cielo rimasto fermo: [...] E ogni giorno a quell'ora della/panchina di frontiera spolverata/i sogni miei/e ripetevo il mio addio sottovoce/al Muro, al Muro soltanto.

Stilisticamente ho trovato non armonico l'uso dei capoversi in maiuscolo in alcune delle poesie, "La donna del violino" e "L'amica ebrea (Tunisi, 1942)", pur riconoscendone l'intensità espressiva trovo che è penalizzante verso la forma simpatizzante al classico; stessa cosa per i versi spezzati, anche se la riconosco come una moda degli ultimi tempi, non la preferisco nonostante riconosca in questi versi un notevole spessore morale dell'autore.



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