a cura di Ivan Caldarese
Monia Minnucci una personalità tendenzialmente creativa, tanto che, in età molto giovane compirà la scelta di studi artistici. La sua arte è strettamente correlata alla letteratura, ma ancor più alla psicologia. Monia si auto-indaga, mentre traduce in opere letterarie la sua esistenza, spesso travagliata, con una capacità analitica che fuoriesce come un fiume in piena.
La si potrebbe definire una grande traduttrice dei sentimenti umani: li plasma, li studia, li condanna ma spesso e con velata indulgenza, li assolve.
Ciao Monia è con molto piacere che oggi ti ospitiamo al nostro salotto letterario, un percorso per niente scontato e soprattutto una consapevolezza di amore per l'arte sempre innata, ci parli di te, quello che hai scoperto di essere nel tempo per la letteratura contemporanea e delle tue esperienze editoriali?
Ho iniziato a scrivere per le case editrici da qualche
anno, ma la mia esigenza di espressione creativa è ben più antica e affonda le
sue radici nell'infanzia. Inizialmente mi esprimevo con la pittura, il disegno
e l’arte figurata, man mano ho iniziato a buttare giù qualche verso e da allora
non ho più smesso. Mi piace pensare che la poesia racchiuda in sé anche aspetti
pittorici.
Spesso mi fanno notare che i miei testi evocano immagini e questo
non può farmi che piacere, poiché immagini e simboli sono capaci di connessioni
intimistiche profonde che consentono l’emersione di alcuni aspetti reconditi e
sottaciuti dell’inconscio, portando ad una maggiore consapevolezza che, come in
una catarsi, libera la persona dai contenuti ostili. Per me scrivere è
comunicazione e una forma di terapia autoindotta.
Quando Monia Minnucci pubblica, cosa e come sceglie di farlo?
Ho iniziato a pubblicare i
miei scritti sulle antologie della Giulio Perrone Editore, ma gli esordi non
sono stati semplici. Non mi sono mai sentita un’intellettuale, ho sempre
scritto per sopravvivenza e mai per vanità o ricerca del successo e sono
cosciente delle mie lacune, devo però ammettere che il confronto con gli altri
autori e con i loro giudizi mi ha spinta a studiare, a ricercare le regole
grammaticali, migliorare l’estetica del verso… cambiare.
La mia priorità
assoluta resta, però, l’affermazione del contenuto, il desiderio di parlare ai
molti, di abbracciare la gente e far loro un regalo che spinga alla
riflessione; in una società contaminata dalla protervia, dall'indifferenza e
dalle false apparenze, sostenere un’idea e divulgarla è quasi un dovere se non
una missione. Non voglio che i miei versi siano compresi, non cerco
commiserazione o pietismi di sorta, non do in escandescenza se i lettori li
interpretano a modo loro, anzi, desidero che vi si riconoscano e identifichino;
un pensiero intimistico, in tal modo, si tinge di universalità. Io trovo tutto
questo liberatorio.
Tra i tuoi editi, dalla silloge poetica alla raccolta di racconti, cosa ci racconti in merito?
Il mio primo libro è stato “La bambola rotta”, dove il
contenuto si snoda attorno al dialogo aperto e non privo di rabbia con mio
padre, morto suicida quando ero una bambina e nel dialogo cercato, voluto, ma
conflittuale con mia madre. Sono presenti anche altri temi, come la zavorra dei
ricordi, gli amici scomparsi e la lotta, mai conclusa, per liberarmi dal dolore
delle prigioni interiori che fondano la loro oppressione sulle esperienze
pregresse.
L’ultimo libro pubblicato è “Chiedi all’inchiostro del buio”, con
AGbookpublishing e, in uscita a breve, “Il fiume di vetro”: una raccolta di
racconti che pubblicherò con la Edizioni Scientifiche Teseo, casa editrice con
la quale collaboro come Direttrice delle collane di poesia, narrativa e narrativa
erotica.
Prossimamente, infatti, uscirà la mia prima collana: Le Gorgoni,
formata da sei autori scelti e della quale vado molto fiera, sia per la
bellezza dei testi che per le qualità sensibili degli autori che li hanno
scritti.
Non credo che, in futuro, sarò capace di assemblare tanta perfezione.
"Il fiume di vetro" in procinto di presentazione ufficiale ai lettori che ti seguono, quali sono le ispirazioni che ti hanno portato a scrivere un
libro di racconti, sono storie reali o
puramente inventate?
Ho iniziato a scrivere racconti per partecipare ai concorsi mensili della Giulio Perrone Editore. Credo che ne abbiano pubblicati un paio. Il racconto “Il bastardo”, invece, ha vinto un concorso con la casa editrice Livello4. Tutti i miei racconti partono da una base di realtà, ma poi prendono la loro strada e mi piace pensare che si scrivano quasi da soli. La maggior parte dei miei racconti tratta temi connessi alla patologia mentale o alle problematiche sociali come il pregiudizio, la pedofilia e la droga. Si parla poco della droga, oggi giorno, invece bisognerebbe parlarne ancora in modo approfondito; soprattutto, si dovrebbe parlare di quel vuoto interiore che spinge le persone ad evadere da loro stesse. Il mio racconto preferito è Stellina che si snoda sul dialogo fra una bambina ebrea e un bambino sieropositivo, due casi diversi, ma con un vissuto di pregiudizio che, indipendentemente dalle cause e dal periodo storico, li accomuna. Nei miei scritti esplicito ciò che si cela oltre le parvenze. I traumi trascurati che, piano piano, da escoriazione, diventano ferite insanabili o quasi. Il dolore, la rabbia, la tristezza e la paura, sono sentimenti ritenuti scomodi dalla società, quasi inaccettabili, quante volte abbiamo sentito la frase: non voglio che tu soffra! Non voglio vederti soffrire. Invece, sarebbe più utile capire che davvero non possiamo evitare le sofferenze e che questi sentimenti sono esattamente come tutti gli altri, anzi, è proprio partendo dalla loro integrazione che possiamo spiccare il salto verso una crescita interiore. Senza trascuratezza, molti problemi sarebbero individuati e affrontati sul nascere, evitando evoluzioni imprevedibili che poi, sfuggono di mano. Senza ansia, solo con interventi corretti e concreti, la vita potrebbe essere aiutata verso un percorso più lineare e meno impervio. In tutto questo c’è molto della mia esperienza personale, ma non sono ancora in grado di rivelarla quindi mi accontento, in minima parte, di proiettarla sui miei personaggi. Il contatto con la patologia, la morte di mio padre, mi hanno portato a ricercarne le cause, sviscerare le problematiche di fondo e cercare di esorcizzare i miei demoni attraverso la scrittura. La scrittura è uno strumento di auto terapia molto utile.
Quali sono le emozioni che hai provato scrivendolo e nel vederlo poi realizzato?
Non molte. L’editoria è un’industria, non ci trovo nulla di romantico, ma sono altresì convinta (anche se non è il mio caso, almeno non nella narrativa) che se un autore è valido, questi emergerà. Un libro di contenuto sopravvive alla morte dell’autore stesso, il solo giudice in campo artistico è il tempo o meglio, l’uomo di domani, non l’uomo attualmente perfettamente integrato nell’ingranaggio commerciale del lavoro di editore o di critico… per fortuna. Scrivere un libro, invece, è sempre doloroso, entrano in gioco troppe emozioni e non è facile sfuggire ai vissuti personali.
Quali sono le emozioni che hai provato scrivendolo e nel vederlo poi realizzato?
Non molte. L’editoria è un’industria, non ci trovo nulla di romantico, ma sono altresì convinta (anche se non è il mio caso, almeno non nella narrativa) che se un autore è valido, questi emergerà. Un libro di contenuto sopravvive alla morte dell’autore stesso, il solo giudice in campo artistico è il tempo o meglio, l’uomo di domani, non l’uomo attualmente perfettamente integrato nell’ingranaggio commerciale del lavoro di editore o di critico… per fortuna. Scrivere un libro, invece, è sempre doloroso, entrano in gioco troppe emozioni e non è facile sfuggire ai vissuti personali.
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